di Lucia Izzo - Un'amministrazione pubblica di uno Stato membro non può trasmettere ad altra amministrazione pubblica, ai fini di trattamento, dati personali senza che le persone interessate siano state informate, né di tale trasmissione né del successivo trattamento.
L'obbligo di informativa deriva dall'art. 12 della direttiva 95/46/CE (valida in tutta Europa) che precisa la condizione del trattamento leale dei dati personali, pertanto una pubblica amministrazione è tenuta ad informare le persone interessate della trasmissione di tali dati ad altra amministrazione pubblica che li tratterà in qualità di destinataria.
Una legge interna non può dispensare il responsabile del trattamento dall'obbligo di informare le persone, presso le quali raccoglie i dati di reddito, dei destinatari dei medesimi dati.
Lo ha previsto la Corte di Giustizia Europea nella sentenza C-201/14 (qui sotto allegata), su una vicenda originata in Romania, dove l'amministrazione tributaria di Bucarest provvedeva a trasmettere alla CNAS (Cassa nazionale Malattia) dati relativi ai redditi dichiarati dai ricorrenti, sulla base dei quali l'amministrazione richiedeva il pagamento di contributi per l'assicurazione malattia arretrati.
I ricorrenti lamentano che i dati sarebbero stati trasmessi e utilizzati in base ad un semplice protocollo interno, per finalità diverse da quelle per cui erano stati inizialmente comunicati e senza il consenso espresso degli interessati e/o la loro preventiva informazione.
Per rispettare l'obbligo di trattamento leale dei dati, l'amministrazione pubblica avrebbe, invece, dovuto procedere ad adeguata comunicazione.
La Corte si è pronunciata con altra sentenza circa l'interpretazione della direttiva 95/46/CE, ossia nel provvedimento C-230/14 (qui sotto allegata).
Si tratta di vicenda riguardante una società con sede in Slovacchia, gestore di un sito Internet di annunci pubblicitari riguardanti beni situati in Ungheria che, nell'ambito di tale attività, trattava i dati personali degli inserzionisti.
Molti di essi, al termine del periodo gratuito, richiedevano via e-mail la cancellazione dei propri annunci e dei propri dati personali a cui la società non ottemperava, fatturando invece i servizi forniti. A fronte del mancato mancamento di fatture, la società richiedeva il recupero dei crediti trasmettendo i dati personali degli inserzionisti coinvolti ad apposite agenzia.
Si disquisisce del diritto nazionale applicabile al trattamento dei dati poiché la società, condannata in Ungheria, riteneva non applicabile il diritto di questo Stato, avendo altrove la sede o lo stabilimento.
Per i giudici, alla luce dell'obiettivo perseguito dalla direttiva da interpretare (garantire una tutela efficace e completa del diritto alla vita privata e evitare che le disposizioni vengano eluse), può esser sufficiente a costituire un'organizzazione stabile anche un solo rappresentante presente nello Stato, se costui opera con un grado di stabilità sufficiente e con l'ausilio dei mezzi necessari per la fornitura dei servizi concreti di cui trattasi nello Stato membro in questione.
Inoltre, la nozione di "stabilimento", ai sensi della direttiva 95/46, si estende a qualsiasi attività reale ed effettiva, anche minima, esercitata tramite un'organizzazione stabile.
Si evince in particolare, dalle precisazioni fornite dall'autorità ungherese di controllo, che la società ricorrente ha un rappresentante in Ungheria, il quale figura nel registro slovacco delle società a un indirizzo situato in Ungheria e il quale ha cercato di negoziare con gli inserzionisti il pagamento dei
crediti insoluti.
Corte di Giustizia Europea, sentenza C-230/14