Avv. Paolo Accoti - L'art. 348 c.p.c., in materia di improcedibilità dell'appello, oltre a sancire l'improcedibilità del gravame se l'appellante non si costituisce nei termini (I comma), statuisce che: "Se l'appellante non compare alla prima udienza, benché si sia anteriormente costituito, il collegio, con ordinanza non impugnabile, rinvia la causa ad una prossima udienza, della quale il cancelliere dà comunicazione all'appellante. Se anche alla nuova udienza l'appellante non compare, l'appello è dichiarato improcedibile anche d'ufficio" (II comma).
Ciò posto, la sanzione dell'improcedibilità immediata, viene esclusivamente prevista nell'ipotesi - di cui al I comma - in cui l'appellante non si costituisca nelle forme e nei termini di cui all'art. 347 c.p.c., per il quale, la costituzione in appello avviene secondo le forme e i termini dettati per il giudizio dinnanzi al tribunale.
In altri termini, in appello, la costituzione avviene secondo le forme ed i termini dettati dagli artt. 165 e 166 c.p.c. e, pertanto, entro dieci giorni dalla notificazione della citazione al convenuto, ovvero entro cinque giorni nel caso di abbreviazione di termini, mediante deposito in cancelleria della nota d'iscrizione a ruolo e del proprio fascicolo.
Nessun dubbio, infatti, può nutrirsi sulla concreta applicabilità delle forme e dei termini fissati per il giudizio di primo grado, anche in sede d'appello, sia per l'esplicita previsione normativa, ma anche in virtù del consolidato orientamento giurisprudenziale, per il quale la previsione di cui all'art. 347 I comma c.p.c., rende utilizzabili nei procedimenti d'appello le previsioni di cui agli artt. 165 e 166 c.p.c., ad eccezione però dell'art. 171 c.p.c., essendo incompatibile con la previsione di improcedibilità dell'appello, di talché, qualora l'appellante non si costituisca nei termini, l'appello risulterà in ogni caso improcedibile, anche nell'ipotesi di tempestiva costituzione dell'appellato (Cfr.: Cass. civ., sez. un., 18/05/2011, n. 10864; Cass. civ., 19/10/2012, n. 18073).
Al contrario, il disposto di cui al II comma dell'art. 348 c.p.c., prevede che l'appellante il quale non compare alla prima udienza, allorquando risulta già costituito in cancelleria, può sperare nel rinvio della causa, del quale il cancelliere dovrà dargli comunicazione, e solo in caso di reiterata assenza - anche alla nuova udienza così disposta - verrà sanzionato con la dichiarazione di improcedibilità dell'appello.
Il che sta a significare che nella suddetta ipotesi di mancata comparizione dell'appellante, ma anche dell'attore in primo grado, il giudice non solo sarà tenuto a fissare una nuova udienza, ma dovrà anche astenersi dal compiere qualsiasi attività processuale, prima tra tutti quella di incamerare la causa in decisione.
Gli anzidetti dettami, peraltro, risultano pienamente applicabili anche al rito del lavoro, nonostante la specialità del rito, tanto è vero che la Suprema Corte, con la sentenza n. 18226, del 17.09.2015, confermando il proprio consolidato orientamento, ha ribadito che: "La disciplina dell'inattività delle parti dettata dal codice di procedura civile, con riguardo sia al giudizio di primo grado che a quello di appello, si applica anche alle controversie individuali di lavoro, non ostandovi la specialità del rito, nè i principi cui esso si ispira. Ne consegue che, ai sensi dell'art. 348 c.p.c., comma 1, anche in tali controversie, la mancata comparizione dell'appellante all'udienza di cui all'art. 437 cod. proc. civ. non consente la decisione della causa nel merito, ma impone la fissazione di nuova udienza, da comunicare nei modi previsti, nella quale il ripetersi di tale difetto di comparizione comporta la dichiarazione di improcedibilità dell'appello. In tal senso si è già espressa più volte questa Corte (cfr Cass. n. 2816/2015, n. 5238/2011, n. 5643/2009, n. 7837/2003, n. 12358/2003) e non sussistono ragioni per discostarsi da questo indirizzo consolidato".
La sentenza in commento, tuttavia, si rivela interessante atteso che logicamente afferma come la mancata comparizione dell'appellante - già costituto - all'udienza di discussione della causa (ex art. 437 c.p.c.) impone la fissazione di nuova udienza e, conseguentemente, non consente alcuna attività processuale diversa, prima tra tutti la decisione della causa nel merito.
Tanto è vero che nell'anzidetto giudizio di legittimità il ricorrente, con il secondo motivo di ricorso, si lagnava proprio della violazione dell'art. 348 c.p.c., rilevando come in assenza dell'appellante la causa era stata decisa nel merito dal giudice d'appello, motivo - come visto sopra - accolto dalla Suprema Corte.
Discorso completamente diverso è quello per cui, all'udienza fissata per la discussione, in assenza della parte appellata, la parte istante non produca la copia notificata del ricorso.
In tal caso, in assenza di un legittimo impedimento alla rituale evocazione in giudizio dell'appellato che consenta la remissione in termini dell'appellante, il gravame andrà senz'altro ritenuto improcedibile già alla prima udienza, considerato che il disposto del II comma dell'art. 348 c.p.c. presuppone che il contradditorio sia già regolarmente instaurato, con la necessaria notifica del ricorso e del pedissequo provvedimento di fissazione dell'udienza alla controparte.
Tanto è vero che: "Nel rito del lavoro, qualora alla prima udienza venga rilevata la mancata instaurazione del contraddittorio per difetto di produzione della copia notificata del ricorso, e il ricorrente non alleghi e provi un legittimo impedimento alla tempestiva assoluzione di tale onere che giustifichi l'assegnazione di un termine per provvedere all'incombente, correttamente il giudice dichiara improcedibile il ricorso, non trovando applicazione la disciplina di cui all'art. 348 cod. proc. civ., la quale concerne l'inattività delle parti e presuppone la regolarità del contraddittorio già instaurato" (Cass. civ. Sez. VI, Ordinanza, 04/02/2015, n. 2005. Nello stesso senso: Cass. civ. Sez. lavoro Sent., 13/08/2008, n. 21587).
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