di Marina Crisafi - Se il motivo della causa è talmente semplice da considerarsi "elementare", come nel caso di un "tamponamento", il giudice può ben liquidare le spese di lite andando al di sotto dei minimi tariffari. Lo ha ribadito la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 19945/2015, depositata ieri (qui sotto allegata), rigettando il ricorso dell'automobilista danneggiato che lamentava l'errore di valutazione dei compensi professionali da parte del giudice d'appello, liquidati in misura inferiore al tetto minimo fissato dalle tariffe forensi in vigore all'epoca dei fatti (d.m. n. 140/2012).
A nulla valgono i rilievi del ricorrente circa il mancato adempimento dell'onere del giudice di merito, al quale sia presentata una nota spese analitica, di spiegare le ragioni della propria scelta quando intenda liquidare somme inferiori, anche nel caso ritenga che la controversia sia stata di facile trattazione. Per la Cassazione, infatti, ha ragione il tribunale.
Per quanto riguarda la misura degli onorari è di intuitiva evidenza, secondo il Palazzaccio, che il giudice abbia ritenuto di avvalersi della facoltà di dimidiazione degli onorari, accordatagli dall'art. 4 della l. n. 794/1942 di ridurre gli onorari della metà quando la causa risulti di facile trattazione.
Ciò si desume: dall'oggetto della controversia, relativa al risarcimento di danni a cose causati da un tamponamento; dalla modestia degli interessi economici in gioco; nonché dal contenuto oggettivo della sentenza d'appello contenuta in meno d'una facciata dattiloscritta. E nel caso di specie, più che di facile trattazione, dovrebbe parlarsi di "elementare trattazione".
Il ricorso, per la Cassazione, va dunque rigettato con la formulazione del seguente principio di diritto: "la controversia avente ad oggetto il risarcimento dei danni causati da un c.d. ‘tamponamento' stradale, causativo di soli danni a cosa, deve ritenersi rientrante tra le ‘cause di particolare semplicità' di cui all'art. 4 comma 2 della l. n. 794/1942 (la cui permanenza in vigore è stata sancita dall'art. 1, comma 1, del d.lgs. n. 179/2009), con la conseguenza che il giudice di merito, all'esito di tale controversia, ha facoltà di liquidare le spese di lite in misura ridotta fino alla metà dei minimi tariffari".
E se il ricorrente ha ragione, per quanto attiene alla liquidazione del compenso all'avvocato per il c.d. "diritto di collazione", non abrogato dalla tariffa vigente in corso di causa (dm 127/2004) e ritenuto erroneamente incluso dal tribunale nel calcolo delle spese c.d. vive, è vero tuttavia ha concluso la Corte, che pur continuando ad essere prevista tale voce tariffaria è pur sempre un compenso professionale "e come tale soggetto anch'esso alla regola di cui all'art. 4 l. 742/42", non trattandosi di spese vive, "per le quali soltanto non è consentita al giudice nessuna dimidiazione". In ogni caso, anche ad includere tale diritto di collazione nei compensi dovuti all'avvocato, la liquidazione compiuta dal giudice di merito, ha chiosato la S.C. "non scende al di sotto della metà del minimo tariffario e non è perciò illegittima".
Cassazione, sentenza n. 19945/2015