Avv. Annalisa Imparato - L'istituto della gestione di affari altrui, disciplinato dagli artt. 2028 e seguenti, viene in rilievo quando un soggetto assume spontaneamente la gestione di un affare altrui, con la consapevolezza dell'altruità dell'interesse, in assenza di un obbligo giuridico nascente da un rapporto obbligatorio. Sotto il profilo dogmatico l'istituto de quo è inquadrabile tra le fonti legali dell'obbligazione, di natura non contrattuale, in quanto mero fatto riconducibile agli altri atti o fatti idonei di cui all'art. 1173 c.c, rubricato appunto "fonti dell'obbligazione". L'assenza di un vincolo giuridico sottostante tra gestore e interessato, colloca la gestione ex art. 2028 cc al di fuori sia dell'adempimento di un'obbligazione naturale, che dell'esecuzione di una donazione che presuppone uno spirito di liberalità, pertanto non ha causa solutoria, né causa donandi.
La ratio che fonda la gestione di affari altrui va riscontrata, secondo autorevole dottrina, nella solidarietà sociale che muove il gestore a curare un'attività spontaneamente qualora il soggetto titolare dell'interesse sia impossibilitato a provvedervi temporaneamente o per un tempo indefinito. Presupposti che derivano dalla causa solidale sono: l'absentia domini; la consapevolezza di gestire un affare non proprio; la spontaneità dell'azione e soprattutto l'utilità della gestione a favore dell'interessato. Quanto al primo presupposto, l'absentia domini, con esso si intende l'assenza del titolare dell'affare il quale non è in grado di provvedervi per cause contingenti, perché irreperibile o per un perdurante stato di incapacità. Il concetto di impossibilità a provvedere non è assimilabile ad diverso concetto di impossibilità oggettiva e assoluta di adempiere alla prestazione, improntato a criteri oggettivi.
La consapevolezza di gestire un affare non proprio è intesa come effettiva e concreta conoscenza dell'altruità dell'interesse ed, infatti, l'erronea convinzione di curare un affare proprio è ipotesi che esula dalla gestione ex art.2028 cc, in quanto non riconducibile alla causa solidale, fatta sempre salva la possibilità di ratifica da parte dell'interessato. L'utilità della gestione, elemento indefettibile, è un qualunque vantaggio economico (non rispondente a logica solutoria) reso nella sfera patrimoniale e/o personale del dominus, pertanto corrisponde alla prospettiva di un incremento patrimoniale o ad una mancata perdita o spesa.
Tale presupposto non va valutato ex post, ma al momento iniziale della gestione, tenuto conto della situazione attuale in cui versa l'interessato e le concrete possibilità di gestione a disposizione del gestore. Il legislatore, infatti, in una prospettiva di tutela del gestore, ha previsto all'art.2030, 2 comma, il potere del giudice di moderare il risarcimento dei danni eventualmente causati da un comportamento negligente del gestore, valutando le circostanze concrete che hanno lo spinto ad assumere la gestione: è orientamento consolidato quello per cui la disposizione in esame sia riconducibile al principio ex art.1227,1 comma che in tema di responsabilità contrattuale, ma anche extracontrattuale per l'espresso richiamo fatto dall'art.2056 cc, limita il risarcimento da parte del debitore in caso di concorso colposo del creditore-danneggiato.È fondamentale precisare che il legislatore richiede espressamente la capacità di contrattare del gestore. Ammesso pacificamente si tratti di capacità di intendere o di volere, dubbi si sono posti in giurisprudenza circa la sorte dell'attività gestoria posta in essere dal gestore incapace.
Gli orientamenti sul tappeto sono due: da un lato la giurisprudenza di legittimità che in un'ottica garantista pone come centrale la tutela dell'incapace che prevale rispetto alle esigenze di solidarietà perché rispondente ad un principio generale e supremo dell'ordinamento giuridico; dall'altro un'impostazione meno garantista più pragmatica che guarda all'utilità dell'attività compiuta.
Orbene secondo il primo dei citati orientamenti l'interessato è comunque obbligato a tenere indenne il gestore incapace dalle conseguenze che ne derivano; per l'opposto indirizzo, invece , rileva l'utilità o meno della gestione, quindi in caso di attività gestoria utilmente intrapresa, l'incapace potrà esperire l'azione di ingiustificato arricchimento nei limiti del vantaggio conseguito, ma sarà fatta salva l'azione di risarcimento, ex art.2043 cc ,contro l'incapace, per gli eventuali danni cagionati.
Tornando ai presupposti necessari va detto che dall'assunzione spontanea della gestione derivano una serie di obblighi a carico del gestore, quale quello di continuare la gestione, anche in caso di morte dell'interessato, finanche la stessa è stata compiuta interamente o fin quando l'interessato sia in grado di provvedervi. Inoltre sul gestore gravano le medesime obbligazioni nascenti dal mandato. La ragione del rinvio alla disciplina del mandato va riscontrata nell'esercizio dei poteri di sostituzione e/o rappresentanza esercitati dal gestore, anche se le differenze sono di immediata percezione in quanto , in primis , il mandato è un contratto mentre la gestione un mero fatto, e poi nel mandato viene in rilievo un rapporto di fiducia tra mandante e mandatario che manca nella gestione imperniata sull'assenza del conferimento di un incarico e sull'utilità della gestione, come testimonia la circostanza per cui anche in caso di morte del dominus sussiste l'obbligo di gestione, mentre nel mandato la morte del gestore estingue il contratto ex art.1722 cc. Sempre in applicazione di una regola dettata per il mandatario, il gestore è tenuto ad un comportamento diligente: è richiesta la diligenza media, pertanto risponderà solo di colpa grave secondo il principio dettato per i negozi a titolo gratuito, come sancito dall'art.1710 cc.
Quanto alle obbligazioni dell'interessato, l'art.2031 cc, prevede l'obbligo di tenere indenne il gestore dalle obbligazioni che ha assunto in nome di lui, oltre al rimborso di tutte le spese necessarie o utili (funzionali alla gestione) comprensive di interessi. Sul punto va fatta una precisazione: la gestione può essere rappresentativa, quando il gestore agisce in nome dell'interessato oppure non rappresentativa, se agisce in nome proprio. Dalla differente tipologia di gestione derivano differenti regimi giuridici da applicare. Nell'ipotesi di gestione rappresentativa gli effetti e le conseguenze della gestione ricadono direttamente nella sfera personale e patrimoniale del dominus secondo le regole della rappresentanza diretta: in tal caso si applica la disciplina del mandato con rappresentanza (il mandatario che agisce in nome del mandante) e l'interessato dovrà tenere indenne il gestore, se non ha manifestato alcun divieto alla gestione.
Qualora, invece, la gestione fosse non rappresentativa, perché il gestore ha agito in nome proprio, vengono applicate le norme in tema di mandato senza rappresentanza quindi gli artt.1705 e 1706 cc: il gestore acquista i diritti e assume obblighi verso terzi; l'interessato può sostituirsi al mandatario-gestore nell'esercizio dei diritti di credito e non assume direttamente le conseguenze che derivano dall'attività gestori.
Elemento ostativo all'esercizio dei poteri gestori è, appunto, la manifestazione di un divieto da parte dell'interessato che concretizza la volontà espressa dello stesso a non subire ingerenze di soggetti esterni: tale divieto non deve essere contrario a legge, ordine pubblico o al buon costume.
Pertanto in caso di attività di gestione compiuta in presenza di un espresso divieto non sarà applicabile l'art.2031 cc sugli obblighi dell'interessato di tenere indenne e rimborsare il gestore delle spese da questi sostenute. Però, l'interessato stesso in caso di gestione intrapresa in carenza dei presupposti di legge può ratificare l'operato del gestore attraverso un atto di ratifica ex art.2032 cc, in conseguenza del quale si applicheranno le norme in materia di mandato con o senza rappresentanza, a seconda che la gestione sia o meno rappresentativa. Nel diverso caso in cui manchi la ratifica e la gestione difetti dei requisiti ex art.2028 cc, scattano una serie di meccanismi di tutela per i soggetti coinvolti: quanto ai rapporti tra gestore ed interessato è opinione ferma quella per cui si guarda all'utilità della gestione, pertanto se dall'attività sono derivati vantaggi per l'interessato il gestore potrà agire con l'azione di arricchimento ingiustificato con cui può ottenere un indennizzo entro i limiti della correlativa diminuzione patrimoniale subita; mentre se ne sono derivati danni alla sfera patrimoniale/personale dell'interessato questi potrà agire ex art.2043 cc se ne ricorrono gli estremi.
Quanto ai rapporti con i terzi si deve distinguere a seconda che la gestione sia rappresentativa o meno: se il gestore ha agito in nome proprio, allora dovrà adempiere Alle obbligazioni che sono sorte in esecuzione della gestione e varranno le regole dell'adempimento delle obbligazioni; se invece ha agito in nome dell'interessato, sarà responsabile verso i terzi per averli indotti a credere, erroneamente, di essere munito dei poteri rappresentativi e quindi per aver suscitato un ragionevole affidamento nella validità del contratto: sarà, pertanto, applicabile la regola in tema di falsus procurator ex art.1398 cc, che prevede la responsabilità precontrattuale dello stesso.
Questione controversa in materia di gestione di affari altrui è stata, a lungo, quella relativa alla possibilità che oggetto della gestione fosse un affare comune all'interessato e al gestore, in quanto una risposta positiva parrebbe in contrasto con la causa di solidarietà che connota l'istituto de quo. La problematica esposta è stata sottoposta, di recente, al vaglio della Suprema Corte di Cassazione intervenuta in merito ai poteri di intervento del comproprietario di un bene locato da altro comproprietario immesso nella disponibilità materiale del bene immobile oggetto del contratto di locazione, concluso con il conduttore in difetto del consenso dell'altro contitolare. La Corte di Cassazione ha risolto l'annosa questione qualificando la fattispecie di cui sopra come gestione di affari altrui ex art.2028 cc. Da tale inquadramento dogmatico deriva l'applicazione del relativo regime giuridico descritto.
La pronuncia della Suprema Corte si basa sul presupposto di validità di un contratto di locazione stipulato da uno dei contitolari della res oggetto di comunione senza il consenso degli altri comunisti, a condizione che il contraente locatore goda della disponibilità materiale del bene immobile stesso, dato che il contratto di locazione fa sorgere l'obbligo di immettere il conduttore nel godimento della res locata dietro il pagamento di un corrispettivo.
Invero, la questione relativa alla validità del contratto de quo non ha preoccupato molto la giurisprudenza di legittimità, concentrata maggiormente, prima della illuminante e recente pronuncia, ad individuare i poteri di intervento del comproprietario pretermesso e i suoi rapporti con il terzo-conduttore.
L'impostazione tradizionale riconduceva la situazione che intercorre tra i comproprietario non locatore, il terzo conduttore e il comproprietario locatore al contratto di mandato senza rappresentanza, implicito. Secondo tale in dirizzo il locatore è mandatario del comproprietario non locatore (mandante) , sulla base di un mandato implicito fondato sull'assenza di un'espressa volontà contraria del mandante. Il mandatario si trova cosi ad agire in nome proprio per la quota del bene locato di sua proprietà e in nome del mandante (non locatore) relativamente alla quota di sua spettanza. Si applica in tal modo l'art.1706 cc in tema di rappresentanza indiretta, in base al quale gli acquisti di beni mobili fatti dal mandatario in nome proprio sono rivendicabili dal mandante, salvi però i diritti dei terzi possessori in buona fede, mentre per gli acquisti di beni immobili, il mandatario deve ritrasferirli mediante apposito atto, in capo al mandante che può agire ex art.2932 cc in caso di inadempimento. Trattandosi di un'ipotesi di rappresentanza indiretta, in cui il mandatario agisce in nome proprio senza la contemplatio domini, lo stesso assume direttamente gli obblighi che derivano dagli atti compiuti con i terzi, salvo il potere del mandante di agire con azione sostitutoria per esercitare i diritti di credito derivati dall'esecuzione del mandato, sostituendosi al mandatario ex art.1705,2comma. Relativamente all'art.1705, 2 comma va precisato che dubbi ermeneutici sono sorti circa la portata da attribuire all'inciso "diritti di credito" , perché la giurisprudenza di legittimità ha oscillato tra un'interpretazione estensiva comprensiva anche delle azioni contrattuali oltre che delle azioni di recupero crediti e un'interpretazione rigida ancorata al dato letterale della norma. Le implicazioni che ne derivano non sono da trascurare perché applicando lo schema del mandato senza rappresentanza e quindi l'art.1705,2 comma al caso in esame, avremo conseguenze diverse a seconda che si sposi la tesi restrittiva, oggi prevalente, o l'opposta tesi estensiva.
In ossequio alla prima teoria maggiormente rispettosa della posizione dei terzi contraenti, al comproprietario pretermesso spetterebbe solo l'esercizio dei diritti di credito quindi il recupero dei canoni di locazione non versati dal conduttore; seguendo la seconda delle teorie, meno garantista e più attenta alla posizione del mandante, il comproprietario non locatore avrebbe la possibilità di esercitare l impugnative contrattuali oltre che l'esercizio di diritti di credito al pari di un mandante nel contratto di mandato con rappresentanza.
Nonostante si segua l'impostazione più restrittiva dell'art1705,2 comma in esigenza di tutela della persona del terzo, la teoria del mandato senza rappresentanza implicito ha subito numerose critiche da parte della dottrina e della giurisprudenza successiva, in quanto dà rilevanza al mandato, che ha natura negoziale, mentre nella fattispecie in analisi manca l'elemento indefettibile del negozio cioè la volontà del mandante. Infatti il comproprietario non locatore non manifesta alcuna volontà diretta a conferire incarico all'altro comunista; inoltre, non emergono fatti concludenti rilevanti né un silenzio circostanziato che possa valere come consenso implicito o tacito.
È altresì superata la tesi del mandato senza rappresentanza presunto, basata sull'assunto di una totale parità, tra tutti i comunisti, di poteri di gestione e disposizione del bene oggetto di comunione, a prescindere dai consensi manifestati e dalla consistenza delle rispettive quote che si presumono uguali. Questo orientamento, oltre a subire le medesime obiezioni riservate alla teoria del mandato implicito di cui condivide le conseguenze applicative partendo da premesse parzialmente differenti, presenta una nota stonata qual è l'assoluta indifferenza verso il terzo conduttore.
Partendo da queste considerazioni, la Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza a Sezioni Unite n. 04/07/2012 n° 11135, innovativa e garantista, ha ritenuto applicabile alla fattispecie de quo lo schema della gestione altrui, riconoscendo al gestore (comproprietario locatore) la possibilità di gestire un affare sia proprio che comune all'interessato, purché non sia subentrato un divieto di costui diretto ad impedire la gestione del bene in comunione. Sarà pertanto applicabile l'art.2030 relativo agli obblighi del gestore e l'art.2031 sulle obbligazioni dell'interessato il quale gode anche del potere di ratifica della gestione ex art.2032 cc.
Quindi se la gestione è rappresentativa, il mandante può diventare parte del contratto di locazione e agire alla stregua del locatore contraente con l'esercizio delle azioni contrattuali avverso il conduttore (annullamento, risoluzione, rescissione) oltre a poter ottenere il pagamento dei canoni maturati dopo la ratifica; mentre, prima della la ratifica, il comproprietario pretermesso non può avanzare pretese verso il conduttore obbligato, con effetto liberatorio, solo nei confronti del comproprietario locatore.
Diverso è il caso della gestione non rappresentativa che ricorre quando il gestore ha agito in nome proprio. In tale ipotesi saranno applicabili le regole della rappresentanza indiretta, pertanto successivamente alla ratifica presentata dal contitolare non locatore, questi potrà sostituirsi al mandatario-locatore (ex art. 1705, 2 comma) e avanzare la sola richiesta di pagamento dei canoni non versati e maturati a far data dall'intervenuta ratifica, in accoglimento dell'impostazione restrittiva dell'art. 1705, 2 comma che tutela la posizione del terzo conduttore. In conclusione, al comproprietario non locatore - interessato gli saranno precluse le impugnative contrattuali per le ragioni viste e non potrà avanzare pretese avverso il conduttore relative al tempo anteriore alla ratifica.
Avvocato Annalisa Imparato
Foro di Torre Annunziata
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