di Valeria Zeppilli - Il medico non può andare esente da responsabilità, neanche con l'ausilio delle previsioni del decreto Balduzzi, se omette di rispettare le regole di diligenza e i protocolli ufficiali.
In assenza di una prova del fatto che egli si sia attenuto alle linee guida conformi alle regole della migliore scienza, la sorte del sanitario non potrà che essere quella di subire una condanna penale.
Del resto, tale prova è fondamentale per verificare la correttezza e la scientificità dei parametri di riferimento della condotta medica e per porli alla base dell'accertamento dei profili di colpa che possono essere ravvisati in capo al sanitario.
Così, la Corte di Cassazione, con la sentenza numero 40708/2015, depositata il 9 ottobre (qui sotto allegata), ha confermato la condanna di un chirurgo plastico, il quale era stato giudicato colpevole in sede di primo e secondo grado per condotta negligente, imperita e imprudente e per violazione delle norme dell'arte medica, in quanto, per ben tre volte, aveva sottoposto un medesimo paziente a un intervento errato.
Per i giudici, infatti, nel caso di specie non può essere applicato quanto sancito dall'articolo 3 della legge numero 182 del 2012 (cd. decreto Balduzzi), per il quale l'esercente una professione sanitaria non risponde penalmente per colpa lieve nel caso in cui si attenga alle linee guida e alle buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica.
In assenza della prova della conformità del proprio comportamento a tali presupposti, non è certo la sussistenza del consenso informato a poter salvare il medico dalla condanna.
Cassazione testo sentenza numero 40708/2015