di Marina Crisafi - Cala la scure della Cassazione su chi usa Youtube quale arma di ricatto per costringere qualcuno a determinati comportamenti, tenendolo sotto scacco con la minaccia di pubblicare un video non gradito.
Per il Palazzaccio infatti tale condotta integra il reato di violenza privata, cui si aggiunge quello di illecito trattamento dei dati personali se il video viene poi pubblicato in rete.
È quanto ha affermato la terza sezione penale della Cassazione nella sentenza n. 40356/2015 depositata l'8 ottobre (qui sotto allegata), pronunciandosi sulla vicenda riguardante un trentenne calabrese nei confronti del quale la Corte d'appello di Reggio Calabria confermava la condanna per i reati di trattamento illecito di dati personali ex art. 167 d.lgs. n. 196/2003 e violenza privata continuata ex artt. 81 e 610 c.p. commessi in danno di una ragazza, costretta "ad avere contatti informatici con lui sotto continue minacce di pubblicazione in rete di un video che la ritraeva in pose oscene".
L'imputato proponeva ricorso per cassazione lamentando la mancanza di motivazione sulla sussistenza degli elementi costitutivi del reato di violenza privata, non avendo motivato la corte territoriale sul condizionamento psicologico della vittima e l'insufficienza del "mero stralcio di comunicazioni via mail" ai fini dell'imputazione, evidenziando, altresì, il comportamento tenuto dalla persona offesa che, lungi dal subire condizionamenti, lo aveva fatto addirittura venire allo scoperto contattandolo in rete su indicazione della polizia postale a cui lo aveva precedentemente denunciato.
Ma per piazza Cavour le doglianze sono infondate.
Quanto al delitto di violenza privata, ha ribadito la infatti la Corte, questo si consuma "ogni qualvolta l'autore con la violenza o la minaccia lede il diritto del soggetto passivo di autodeterminarsi liberamente, costringendolo a fare, tollerare od omettere qualcosa. Al contrario della minaccia che ha natura formale, la violenza privata è un reato di danno, nel quale la condotta sanzionata si realizza con la coartazione della volontà altrui e l'evento lesivo si concretizza nel comportamento coartato di colui che l'ha subita".
Piazza Cavour ha osservato, quindi, che legittimamente la Corte d'appello ha ravvisato gli estremi del reato dal contenuto minaccioso delle mail inviate alla ragazza tali da costringerla a "intrattenere rapporti telematici" e a cortarne la capacità di autodeterminazione "tenendola sotto scacco" e in particolare dal messaggio con cui l'imputato "in caso di persistente blocco del contatto o di mancata risposta, prospettava alla ragazza gravi danni all'immagine derivanti dalla pubblicazione del video", nell'ambiente ristretto cittadino, dove ne avrebbero "sparlato" tutti "macchiandola" per sempre.
Quanto al secondo reato, visto che la pubblicazione del video incriminato fu effettuata su Youtube con "conseguente lesione del diritto alla riservatezza dell'immagine" della persona offesa, anche in tal caso la corte territoriale per gli Ermellini ha colto nel segno, desumendo dall'avvenuto inserimento nel circuito online del video ritraente la ragazza l'esistenza del "nocumento" con tipico accertamento in fatto insindacabile in sede di legittimità.
La S.C. ha ricordato, da ultimo che nel reato di illecito trattamento di dati personali, di cui all'art. 167 del d.lgs. n. 196/2003, il nocumento per la persona offesa, che "nella fattispecie previgente si configurava come circostanza aggravante e che oggi costituisce elemento essenziale del reato - ovvero condizione obiettiva di punibilità - rende la figura criminosa inquadrabile nella categoria dei reati di danno e non più di mero pericolo".
Per cui ricorso rigettato e condanne confermate per il giovane.
Cassazione, sentenza n. 40356/2015