Infatti, in tal caso il soggetto imprenditore non è il socio ma la società personale, dotata di autonoma soggettività e soggetta allo statuto dell'imprenditore commerciale.
Se, quindi, ad esempio la moglie dà una mano al marito nell'esercizio della sua attività, non acquisirà per ciò solo il diritto a percepire gli utili o ad ottenere la liquidazione della quota in caso di allontanamento dall'impresa.
Con tale fattispecie si è recentemente confrontata la Corte di cassazione, con la sentenza numero 20552/2015, depositata il 13 ottobre (qui sotto allegata).
In tale occasione i giudici hanno, infatti, specificato che la partecipazione dei familiari ad un'impresa non trasforma un'impresa individuale in una collettiva: l'impresa, infatti, appartiene solo al suo titolare e crea tra i partecipanti esclusivamente un rapporto interno di natura obbligatoria.
L'esercizio dell'impresa familiare, per la Corte, non è quindi compatibile con la disciplina societaria.
Ciò essenzialmente in ragione della disciplina patrimoniale, ovverosia per il fatto che la partecipazione del familiare agli utili, ai beni con essi acquistati e agli incrementi d'azienda non è proporzionale alla quota di partecipazione ma fa riferimento esclusivamente alla quantità e alla qualità del lavoro prestato.
Corte di cassazione testo sentenza numero 20552/2015