Per la Corte d'Appello di Milano, la sentenza 162/2014 della Corte Costituzionale impone una rilettura della materia rispettando l'uguaglianza di stato giuridico tra i figli

di Lucia Izzo - I terzi non potranno proporre azione di disconoscimento dei figli nati fuori dal matrimonio a mezzo di fecondazione eterologa, stante l'interpretazione costituzionalmente orientata introdotta dalla sentenza 162/2014 della Corte Costituzionale. 


Lo ha stabilito la Corte d'Appello di Milano con sentenza (qui sotto allegata) del 23 settembre 2014 (pres. est. La Monica), riformando la sentenza del Tribunale di Monza che aveva legittimato i fratelli del defunto ad impugnare il riconoscimento dei suoi figli nati fuori dal matrimonio a seguito di inseminazione artificiale eterologa consentita dal partner. Gli interessi in gioco sono prevalentemente successori, ed il Tribunale fonda la possibilità di accertare la non veridicità del riconoscimento effettuato dal loro fratello proprio sul rilievo che l'art. 263 c.c. estende la legittimazione all'azione a "chiunque vi abbia interesse"


Ricorrono i figli dell'uomo, poi convolato a nozze con la madre in un momento successivo, precisando che regola di riferimento applicabile al caso di specie sarebbe l'art. 235 c.c., nonché l'art. 9 della legge 40/2004 a norma del quale deve ritenersi preclusa anche ai terzi, in caso di fecondazione eterologa, l'azione di disconoscimento per difetto di veridicità. 


I giudici di seconde cure, tuttavia, rilevano che la materia ha subito modifiche nelle more del giudizio, essendo entrati in vigore, successivamente alla sentenza non definitiva del Tribunale, la legge 219/2012 e il d.l. 154/13, che hanno dato luogo alla cd. "Riforma della Filiazione". 

Inoltre, in pendenza del decorso nei termini ex art. 190 c.p.c., la Corte Costituzionale si è pronunciata con la sentenza 162/2014 su norme interessate dal presente procedimento. 


In primis, la legge ha eliminato il fattore di differenziazione tra figli nati nel o fuori dal matrimonio, stabilendo che "tutti i figli hanno lo stesso stato giuridico"; ciò che permane è la differenza circa l'attribuzione dello stato di filiazione e del relativo titolo, poiché in un caso si forma d'ufficio mentre nell'altro è affidato agli interessati. 

L'impugnazione di riconoscimento per difetto di veridicità (art. 263 c.c.) è inoltre limitata da un termine "tombale" di decadenza per l'esercizio dell'azione da parte degli altri legittimati, così da non prolungare indefinitamente l'incertezza e la rimovibilità dello status di figlio. 


La Consulta, invece, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'articolo 4, comma 3, della legge 40/2004, e di altre connesse disposizioni, nella parte in cui la legge poneva, per la coppia formata da maggiorenni di sesso diverso e per la quale sussistano problemi di sterilità/infertilità, il divieto del ricorso a tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo.


La Corte Costituzionale ha confermato sia l'inammissibilità dell'azione di disconoscimento della paternità (art. 235 c.c. a seguito delle modifiche realizzate dagli artt. 17 e 106 del d.lgs. n. 154 del 2013 deve ritenersi ora riferito all'art. 243-bis c.c.) che dell'impugnazione ex art. 263 c.c. (nel testo novellato dall'art. 28 del d.lgs. n. 154 del 2013)". 


Siccome il contesto normativo ha attualmente riconosciuto la Pma eterologa, legittimare "chiunque vi abbia interesse" ad un'azione che ha il suo unico presupposto nella difformità tra la verità risultante dalla dichiarazione di riconoscimento, e la verità sostanziale e obiettiva della filiazione, difformità che è proprio l'essenza della pratica di fecondazione eterologa, comporterebbe la negazione della legittimità della pratica e l'esposizione del figlio nato da fecondazione eterologa alla inesorabile caducazione del suo status, in palese contrasto con i principi costituzionali. 


Pertanto,  l'azione promossa dai fratelli del defunto non appare ammissibile, dovendo ritenersi, in base a un raccordo tra l'articolo 9 della legge 40/2004, come ora risultante, e l'articolo 263 c.c., che non residui in capo ai terzi la proposizione dell'azione di disconoscimento. 

Corte d'Appello Milano, 23 settembre 2014 (pres. est. La Monica)

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