di Lucia Izzo - Non è meritevole d'accoglimento il ricorso presentato da un dirigente sanitario contro colleghi e superiori ritenuti colpevoli per abuso d'ufficio, in quanto avrebbero arrecato alla collega un ingiusto danno impedendole di esercitare le prerogative derivanti dal nuovo ruolo apicale conferitole.
Diverse le condotte, a dire del medico, ostative allo svolgimento del suo ruolo e "prevaricatorie" nei suoi confronti, tra cui spiccano quelle del "predecessore" che avrebbe evitato di consegnare alla collega tutto il materiale concernente il Servizio Emergenza Sanitaria Territoriale di cui era stata nominata dirigente.
Il medico sostiene che tale inadempimento sia derivato dalla cocente delusione sofferta dal collega per essersi visto privare, dopo un lungo periodo, della guida del Servizio e dal suo timore di uno scrutinio esterno circa il lamentevole stato della struttura provocato dalla sua precedente gestione.
Tuttavia, la Corte di Cassazione, VI sezione penale, con la sentenza 41818/2015 (qui sotto allegata) rammenta che per il reato di rifiuto di atti d'ufficio (ex art. 328 c.p.) si rende esplicitamente necessaria una richiesta che assume la natura e la funzione tipica della diffida ad adempiere, dovendo la stessa essere rivolta a sollecitare il compimento dell'atto o l'esposizione delle ragioni che lo impediscono.
Il reato lamentato dalla ricorrente si consuma quando, in presenza di tale presupposto, sia decorso il termine di trenta giorni senza che l'atto richiesto sia stato compiuto, o senza che il mancato compimento sia stato giustificato.
Nel caso di specie, la neo-dirigente avrebbe soltanto posto in essere informali richieste inidonee a rivestire la veste di formale diffida scritta, rendendo non configurabile il delitto di cui all'art. 328 c.p.
Relativamente alle condotte poste in essere dai colleghi, la Corte ha ritenuto che il giudice dell'udienza preliminare abbia correttamente valutato, sotto il profilo processuale, la loro insufficienza, contraddittorietà ed inidoneità dimostrativa a sostenere l'accusa in giudizio.
Il ricorso deve pertanto essere rigettato.
Cass., VI sez. penale, sent. 41818/2015