di Marina Crisafi - Non spetta nessun aumento del compenso al difensore d'ufficio dell'imputato che è stato ammesso al gratuito patrocinio, neppure se la causa è molto complessa e richiede un impegno particolare. Lo ha stabilito la seconda sezione civile della Cassazione con la sentenza n. 21461/2015 depositata oggi (qui sotto allegata), rigettando il ricorso di un avvocato avverso il decreto con il quale la corte d'assise d'appello di Milano confermava la liquidazione degli onorari a lui spettanti.
Per la Corte, va escluso il riconoscimento dell'aumento del massimo previsto dalla tariffa penale ex art. 1 commi 2 e 3 del d. m. n. 127/2004, per l'impegno richiesto dalla complessità dei fatti e delle questioni giuridiche trattate, sul rilievo che ai sensi dell'art. 82 del dpr n. 115/2002 gli onorari dovuti al difensore della parte ammessa al patrocinio dello Stato non possono superare i valori medi delle tariffe professionali vigenti.
Per contro, il professionista lamenta che negare l'applicabilità dell'aumento stabilito dalla tariffa per la particolare difficoltà e complessità della causa determinerebbe una violazione di precetti costituzionali, comportando una disparità di trattamento fra il difensore di imputato ammesso al gratuito patrocinio e quello di altri imputati.
Ma per il Palazzaccio, ha ragione la Corte.
In tema di patrocinio a spese dello Stato, ha affermato infatti la S.C. "i criteri cui l'autorità giudiziaria ha l'obbligo di attenersi nella liquidazione degli onorari e delle spese spettanti al difensore, ai sensi dell'articolo 82 Dpr n. 115/2002, devono ritenersi esaustivi, sicché il giudice, nell'applicare la tariffa professionale, non può invece fare riferimento anche ai criteri integrativi e adeguatori della tariffa medesima, non essendo operante l'articolo 1, comma 2, della tariffa penale di cui al Dm. 8 aprile 2004 n. 127, che consente di quadruplicare il compenso per le cause che richiedono un particolare impegno per la complessità dei fatti o per le questioni giuridiche trattate".
Ciò per due ordini di ragioni: la prima, per via dell'espresso "divieto contenuto nel citato art. 82, del superamento dei valori medi di tariffa"; la seconda, perché "la norma già contempla la natura dell'impegno professionale come un elemento da prendere in considerazione ai fini della liquidazione del compenso tra il minimo della tariffa e la media di tali valori".
Peraltro, ha ritenuto opportuno sottolineare la Cassazione, la previsione dell'art. 2 della tariffa penale "non concerne un'autonoma e distinta voce del compenso" ma consente di determinare il compenso oltre i massimi "rimettendo alla valutazione del giudice se, in considerazione del particolare impegno profuso, della complessità dei fatti e delle questioni trattate, l'onorario possa essere elevato fino al quadruplo dei predetti massimi".
Per cui, il ricorso è bocciato.
Cassazione, sentenza n. 21461/2015