di Valeria Zeppilli - Il fatto che la controversia sia stata decisa con transazione stragiudiziale non può essere addotto dalle parti come motivo per non pagare i compensi all'avvocato.
La Corte di Cassazione, con ordinanza numero 21209/2015 depositata il 20 ottobre (qui sotto allegata), ha infatti ricordato che l'articolo 68 della legge professionale forense di cui al regio decreto legge numero 1578/2015 stabilisce che le parti che hanno transatto una controversia sono obbligate in solido a pagare gli onorari agli avvocati che hanno partecipato al relativo giudizio e a rimborsare loro le spese sostenute.
Nel fare ciò, tale disposizione si riferisce a un accordo intervenuto su una lite già iniziata e fatta cessare senza la pronuncia del giudice.
La Corte, con la sentenza in commento, ha in sostanza precisato che l'obbligazione solidale di cui all'articolo 68 sussiste solo nel caso in cui il giudizio sia definito con transazione o altro accordo equivalente e al giudice sia così sottratta la definizione del giudizio e la pronuncia sulle spese.
Viceversa, tale disposizione non si applica se il giudice abbia comunque definito la controversia disponendo con sentenza la cessazione della materia del contendere e la ripartizione delle spese.
Più precisamente, a rilevare ai fini della non applicabilità dell'articolo 68 della vecchia legge professionale forense non è tanto il fatto che il giudice abbia definito la causa con una pronuncia intervenuta per abbandono o per cessazione della materia del contendere, quanto il fatto che egli abbia anche stabilito la ripartizione delle spese.
Si ricorda che oggi la legge professionale forense è contenuta nella legge numero 247/2012, che ha sostanzialmente riprodotto il vecchio articolo 68 nel nuovo articolo 13.
Corte di cassazione testo ordinanza numero 21209/2015