di Valeria Zeppilli - Partecipare a un'udienza in rappresentanza di una parte processuale, anche solo limitandosi a dichiarare la propria presenza, è sufficiente a porre in essere il reato di esercizio abusivo della professione di avvocato in caso di mancata iscrizione all'albo.
Anche se sia stato già superato l'esame di abilitazione.
A chiarirlo è la sentenza numero 41974 della seconda sezione penale della Corte di Cassazione, depositata il 20 ottobre 2015 (qui sotto allegata).
Del resto, se l'iscrizione all'albo non fosse da considerarsi un requisito fondamentale per esercitare la professione legale, si dovrebbe giungere alla assurda conclusione che non commette un illecito penalmente rilevante neanche chi continua a svolgere la professione nonostante radiazione o sospensione.
Insomma, il conseguimento del titolo di avvocato, pur essendo presupposto indispensabile per l'iscrizione al relativo albo, non può considerarsi come presupposto esclusivo: a dover essere garantito, infatti, è l'interesse dello Stato a che determinate professioni siano esercitate da soggetti in possesso delle qualità morali e culturali previste dalla legge.
Con l'occasione, la Corte ha anche precisato che, per l'integrazione del reato in questione, è sufficiente il dolo generico, risultando del tutto irrilevante sia lo scopo di lucro eventualmente perseguito che altre ragioni di carattere privato.
La Cassazione ha precisato, poi, che dall'abitualità che il concetto di esercizio professionale contiene in sé è corretto prescindere laddove gli atti compiuti abusivamente siano riservati come tali dall'ordinamento a chi sia in possesso di una speciale abilitazione.
Corte di cassazione testo sentenza numero 41974/2015