di Marina Crisafi - Offendere la ex, dandole della ninfomane su Facebook integra gli estremi del reato di diffamazione aggravata, in quanto i social network (così come del resto forum, siti web e blog) sono da considerarsi "mezzi di pubblicità" che permettono la diffusione di testi, immagini e video ad una serie indeterminata di persone. Ad affermarlo è la sezione penale del Tribunale di Ivrea, con la recente sentenza n. 139/2015 (qui sotto allegata), condannando un uomo per aver offeso la sua ex scrivendo epiteti ingiuriosi sulla sua bacheca Facebook.
Dalla vicenda, posta all'attenzione del collegio piemontese, emergeva che la persona offesa lavorava alle dipendenze dell'uomo e durante il rapporto di lavoro era nata una relazione sentimentale. Dopo sette mesi, non ricevendo, nonostante le promesse, alcuna retribuzione (né la regolarizzazione contrattuale), la stessa decideva di interrompere ogni rapporto, sia professionale che sentimentale. Qualche giorno dopo però l'uomo si vendicava scrivendo sul profilo Facebook di lei un messaggio dall'alto contenuto offensivo che si concludeva con l'espressione "ninfomane". Il messaggio veniva letto da tutti gli amici della ragazza che la contattavano per chiederle spiegazioni, anche con toni denigratori. Da qui la querela, la successiva opposizione a decreto penale di condanna e l'avvio del processo di fronte al tribunale di Ivrea, dove l'uomo veniva tratto a giudizio per rispondere del reato previsto e punito dall'art. 595, commi 1 e 4, c.p.
Per il giudice non ci sono dubbi sulla responsabilità penale dell'imputato per il reato di diffamazione, aggravata dalla portata della pubblicità del mezzo utilizzato per l'offesa.
Com'è noto, ha affermato infatti il tribunale, "il bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice è la reputazione intesa normalmente come il riflesso in termini di considerazione sociale dell'onorabilità. I presupposti della condotta sono costituiti dalla comunicazione di un'espressione offensiva dell'altrui reputazione, dall'assenza dell'offeso - che giustifica l'aggravato trattamento sanzionatorio stante l'impossibilità per lui di difendersi - e dalla presenza di più persone".
Nel caso di specie, pertanto, non possono esserci incertezze né sul contenuto diffamatorio delle affermazioni diffuse, offensive dell'onore (inteso come il complesso delle qualità morali della persona) e del decoro (cioè il complesso delle qualità e condizioni che ne determinano il valore sociale); né tanto meno sull'assenza dell'offeso e sulla sussistenza del requisito della comunicazione con più persone, posto che il messaggio è stato inserito "in un sito internet per sua natura destinato ad essere normalmente visitato in tempi assai ravvicinati da un numero indeterminato di soggetti".
Invero, il reato può essere qualificato come aggravato, dall'avere arrecato l'offesa con un mezzo di pubblicità. Per volontà del legislatore, ricorda difatti il giudice piemontese "la diffamazione su internet rientra nella previsione del comma 3 dell'art. 595 c.p. atteso che un sito web, un blog, un forum, un social network (...), sono considerati "mezzi di pubblicità, in quanto consentono la diffusione di testi, immagini e video a una moltitudine di soggetti".
Quanto all'elemento soggettivo, infine, nessun dubbio sulla sussistenza del dolo, che, nella fattispecie, è sufficiente in forma generica, consistente nella volontà "cosciente e libera" di propagare notizie e commenti con la consapevolezza della loro attitudine a ledere la reputazione altrui.
Per cui condanna confermata per l'uomo (senza attenuanti generiche né beneficio della sospensione condizionale della pena, dato che non era incensurato) che dovrà pagare una multa di 800 euro (in luogo della pena detentiva), oltre ovviamente alle spese legali e al risarcimento dei danni all'ex, per un totale 4mila e 500 euro.
Tribunale Ivrea, sentenza n. 139/2015