di Lucia Izzo - La parte civile non è legittimata a ricorrere contro il provvedimento che abbia annullato o revocato, in sede di riesame, l'ordinanza di sequestro disposto a favore della stessa parte civile. Neppure è possibile richiamare la direttiva comunitaria che tutela le vittime del reato sancendo il loro diritto di ottenere un risarcimento da parte dell'autore di esso nell'ambito del procedimento penale.
In questi termini si è espressa la Corte di Cassazione, sezione terza penale, con la sentenza n. 42230/2015 (qui sotto allegata) sul ricorso del Ministero dell'economia e delle finanze e dell'Agenzia delle Entrate.
Gli enti, parti civili nel procedimento penale, criticano la pronuncia con cui il Tribunale di Venezia aveva rigettato l'istanza di sequestro conservativo dei beni immobili e mobili del legale rappresentante di una società, nonché degli imputanti rinviati a giudizio per rispondere della imputazione di associazione a delinquere finalizzata alla commissione di reati tributari.
I ricorrenti ritengono che l'orientamento del Tribunale si ponga in contrasto con i principi sanciti dalla giurisprudenza costituzionale in materia di pienezza della tutela cautelare. Nel caso di specie, si sostiene che i crediti vantati dall'amministrazione, dipendenti dalla commissione di reati tributari, non sarebbero azionabili in sede civile, neppure in fase cautelare, ma dovrebbero essere tutelati di fronte alle competenti commissioni tributarie secondo tale giurisdizione.
Violata, secondo i ricorrenti, anche la direttiva comunitaria n. 2012/29 che assicurerebbe un grado minimo di tutela per quanto riguarda i diritti delle vittime della criminalità.
Motivi privi di pregio secondo gli Ermellini che, in primis, precisano che l'art. 325 c.p.p. non legittima a ricorrere in Cassazione la parte civile (avverso i provvedimenti emessi ai sensi degli artt. 322-bis e 324 c.p.p.), ma solo il pubblico ministero, l'imputato e il suo difensore, nonché la persona nei cui confronti e disposto il provvedimento di sequestro e quella che assume il diritto alla restituzione di quanto versato.
Già le Sezioni Unite Penali (sent. 47999/2014) avevano negato che la parte civile potesse ricorrere per cassazione contro il provvedimento che annullava o revocava il sequestro conservativo emesso ad istanza di tale parte e, nel caso in esame, i giudici ritengono di poter applicare la medesima previsione anche al provvedimento che rigetta la primigenia istanza di sequestro, stante la palese identità di ratio che sottende ambedue le ipotesi.
La stessa sentenza delle SS.UU. ha stabilito che alla parte civile non è conferita alcuna legittimazione a impugnare il provvedimento che abbia un contenuto per lei sfavorevole, tra cui si elencano sia il provvedimento di annullamento o revoca del sequestro originalmente concesso che l'atto dichiarativo dell'inammissibilità di impugnare il rifiuto di concessione del sequestro conservativo.
Revocando la propria costituzione nel giudizio penale, d'altronde, la parte civile potrebbe comunque rimettere in gioco ogni sua pretesa, anche a carattere cautelare, di fronte al giudice civile.
Nessun rilievo ha la circostanza che il credito sia di tipo tributario, visto che l'ordinamento predispone peculiari strumenti volti a rafforzare la posizione di vantaggio dell'Erario circa la conservazione dei mezzi per soddisfare crediti di diritto pubblico conseguenti all'evasione delle impsote avvenute anche per effetto di condotte costituenti reato.
Inutile anche il richiamo alla Direttiva UE, non ancora esecutiva e per la cui attuazione il Governo ha ancora tempo, la quale comunque ha ad oggetto la tutela delle vittime del reato (nel testo si citano le persone fisiche che hanno subito un danno direttamente dal reato o un familiare di una persona la cui morte sia stata causata dal reato).
Il ricorso deve dichiararsi inammissibile e i ricorrenti, operando nel presente giudizio come parti private, dovranno pagare le spese processuali.
Cass., III sez. penale, sent. 42230/2015