di Lucia Izzo - L'illecito disciplinare prescinde dalla natura personale o privata del comportamento posto in essere dall'avvocato qualora assuma rilevanza esterna e possa incidere negativamente sul prestigio, la dignità e il decoro della classe forense: tale principio mira infatti a tutelare l'immagine dell'avvocato che in quanto collaboratore della giustizia deve improntare la sua condotta a criteri di correttezza e dignità anche se il suo comportamento non ha alcuna relazione con l'attività professionale.
Il Consiglio Nazionale Forense, con la sentenza 93/2014 (qui sotto allegata), resa nota sul sito istituzionale il 24 luglio scorso, ha deciso sul ricorso presentato da un avvocato del Consiglio dell'Ordine di Modena, al quale era stata inflitta la sanzione disciplinare della sospensione dell'esercizio della professione forense per la durata di dodici mesi.
La controversia era stata ingenerata dall'avere il professionista ottenuto una somma di denaro da una signora, in affidamento fiduciario, poiché la donna era insoddisfatta delle condizioni di investimento applicate da un istituto di credito della città.
Attraverso la stipula di una convenzione, l'avvocato prometteva la corresponsioni di interessi esorbitanti e mai corrisposti, inducendo la cliente a rilasciare delega ad operare sul conto corrente e ad emettere degli assegni.
In aggiunta, il professionista ometteva di restituire, se non parzialmente, la residua somma alla creditrice nonostante le sue ripetute richieste.
Tutto ciò palesemente integra una violazione dei doveri di probità, lealtà e decoro che devono presidiare la condotta e l'attività professionale dell'avvocato.
Non hanno fondamento le considerazioni svolte dall'incolpato che, in base alla convenzione del 1 luglio 2010, qualificano l'accordo come intervenuto tra privati e non come mandato professionale, come tale sottratto alle valutazioni di carattere deontologico.
Già altre volte il Consiglio Nazionale ha avuto modo di evidenziare che il comportamento privato tenuto dal professionista integra violazione dei canoni deontologici qualora assuma rilevanza esterna e possa incidere negativamente sul prestigio, la dignità e il decoro della intera classe forense (CNF 15 marzo 2013, n. 41).
Infatti, l'avvocato va considerato un collaboratore della giustizia e la sua condotta, come tale, deve in ogni caso conformarsi a criteri di correttezza, dignità e decoro, anche se il suo comportamento non ha alcuna relazione con l'attività professionale (CNF 29 novembre 2012, n. 160).
Risultano giustificati i provvedimenti disciplinari a carico del professionista ed il suo ricorso deve essere rigettato.
CNF, sentenza 93/2014