Il Consiglio di Stato, con la sentenza numero 4899 depositata il 26 ottobre 2015 (qui sotto allegata), ha ritenuto che la diversità di sesso dei nubendi è la prima condizione di validità e di efficacia del matrimonio e che di conseguenza, a prescindere dalla catalogazione del vizio che affligge il matrimonio celebrato all'estero, tale atto risulta sprovvisto di un requisito essenziale affinché esso possa produrre effetti giuridici nel nostro ordinamento.
Insomma, con una sentenza che ha già scatenato accese polemiche e dure proteste, i giudici hanno sancito che non importa che lo si qualifichi come nullo o inesistente: il matrimonio omosessuale nel vigente sistema regolatorio non può costituire tra le parti interessate lo status giuridico proprio delle persone coniugate.
Non apparendo configurabile un diritto fondamentale al matrimonio omosessuale né nel diritto convenzionale europeo né in quello internazionale, il divieto dell'ordinamento interno di equiparare tale unione a quella eterosessuale non è confliggente con i vincoli contratti dall'Italia a livello sovranazionale.
Di conseguenza l'interprete non può liberamente giungere ad equiparare il matrimonio tra persone dello stesso sesso a quello tra persone di sesso diverso, anche solo al fine di affermarne la trascrivibilità.
Il Consiglio di Stato, a tal proposito, ha anche chiarito che è del Ministero dell'interno, e quindi dei prefetti, il potere di annullare gli atti dello stato civile, tra i quali la registrazione di nozze tra persone dello stesso sesso celebrate fuori dal territorio della Repubblica.
La battaglia, dunque, si inasprisce.
Consiglio di Stato testo sentenza numero 4899/2015