di Marina Crisafi - Una classica lite per soldi tra due uomini e uno dice all'altro "te la faccio pagare" puntandogli il dito contro. Il gesto che accompagna le parole però gli costa caro, perché il giudice di pace lo condanna per il reato di minaccia.
Avverso la decisione però si schiera il procuratore generale secondo il quale la frase contestata era in sé priva di apprezzabile potenzialità offensiva, dati i rapporti tra la parte offesa e il prevenuto.
Mancava inoltre l'elemento materiale del reato, giacchè l'espressione asseritamente intimidatoria non era stata accompagnata da azioni tali da indurre turbamento nella vittima, mentre l'esistenza di rapporti di debito/credito tra le parti rendeva la stessa riferibile all'esperimento di un'azione legale da parte dell'imputato (poi in effetti promossa).
Senza contare che non erano stati indicati in concreto gli elementi della lesione della libertà morale della p.o.
Questa la vicenda portata all'attenzione della Cassazione, la quale però abbraccia la linea seguita dal giudice di prime cure e conferma la condanna.
Per gli Ermellini, infatti, si legge nella sentenza n. 44893/2015 depositata ieri (qui sotto allegata), non può trascurarsi il fatto che l'uomo nel pronunciare quell'espressione aveva puntato il dito contro l'altro, con conseguente potenziamento dell'effetto intimidatorio.
D'altro canto, ha spiegato la quinta sezione, la prospettazione del reato impossibile per inoffensività della condotta e la deduzione del vizio di motivazione sulla lesività in concreto della libertà morale della p.o., si pongono in netto contrasto con la consolidata giurisprudenza secondo la quale "il delitto di minaccia è reato di pericolo che non presuppone la concreta intimidazione della persona offesa, ma solo la comprovata idoneità della condotta ad intimidirla". Nella specie, ciò è da ritenersi sussistente sia per il tenore della frase sia per il gesto che l'aveva accompagnata. Per cui il ricorso del procuratore va dichiarato inammissibile.
Vedi anche nelle guide legali: Il reato di minaccia
Cassazione, sentenza n. 44893/2015