In tal senso si è espresso il Tribunale di Roma, con sentenza del 13 marzo 2015 (qui sotto allegata).
In corso di causa, in realtà, il C.T.U. aveva accertato che i redditi dichiarati al Fisco dal coniuge tenuto all'assegno erano apparentemente congruenti con l'attivo delle sue società e con le entrate dei propri conti correnti bancari.
Tuttavia, nella determinazione dell'elargizione economica in favore dell'ex moglie e dei figli, il giudice ha ritenuto di non poter omettere di considerare altre, fondamentali, circostanze.
Le somme risultanti dalle dichiarazioni dei redditi, infatti, erano del tutto insufficienti a giustificare il tenore di vita che la famiglia conduceva prima della separazione.
Oltre a dover sostenere un oneroso mutuo, infatti, l'uomo, unico a produrre redditi, aveva ulteriori rilevanti costi fissi in uscita.
Si pensi, oltre al vitto, alle utenze e alle normali spese quotidiane, alle rette per la scuola privata delle figlie, all'affitto di una residenza per le vacanze estive e agli esborsi per ulteriori vacanze in montagna, alla gestione economica di due autovetture e una moto, alle rilevanti spese per estetista, parrucchiere e vestiario della moglie.
A tutto ciò si aggiungevano ulteriori spese incongrue rispetto ai redditi dichiarati, quali l'acquisto di un costoso SUV e i lavori di ristrutturazione e arredo della casa coniugale.
Di tali circostanze, insomma, il Tribunale di Roma ha ritenuto di non poter non tenere conto nella determinazione dell'ammontare dell'assegno di separazione.
E paradossali sono stati considerati i tentativi dell'uomo di giustificare tale elevato tenore di vita sulla base di presunte regalie materne o di altri componenti della famiglia.
Anzi, essi non hanno fatto altro che contribuire, insieme a quelli di occultazione dei reali redditi, alla condanna del coniuge anche alle spese del giudizio.
Tribunale di Roma testo sentenza del 13 marzo 2015