di Lucia Izzo - La legge Balduzzi "salva" la guardia medica che ha omesso di disporre l'invio del paziente al Pronto Soccorso diagnosticando un'erronea patologia sulla base di un precedente referto dell'ospedale. Avviare il paziente ad un nuovo ricovero in Pronto Soccorso, avrebbe difatti costituito un "eccesso di prudenza".
Lo stabilisce la Corte di Cassazione, IV sezione penale, con sentenza n. 45527/2015 (qui sotto allegata) nell'accogliere il ricorso presentato da un uomo condannato in appello per omicidio colposo e alla pena di un anno di reclusione.
Il ricorrente, ex guardia medica, era intervenuto presso l'abitazione della parte offesa, diagnosticando erroneamente una patologia gastrica e non avvedendosi dei sintomi che avrebbero di lì a poco provocato la morte del paziente per una sindrome coronarica acuta. Per il G.u.p., nonostante l'elemento oggettivo del delitto, mancava l'elemento soggettivo della colpa, avendo l'imputato fatto affidamento sulla diagnosi effettuata pochi giorni prima, durante un ricovero in ospedale con un'analoga sintomatologia, all'esito del quale era stata rilevata una sospetta colica addominale.
Di diverso avviso la Corte d'Appello che, riformando la pronuncia di assoluzione di primo grado, osservava che l'errata diagnosi svolta in ospedale non avrebbe dovuto vincolare la guardia medica, la quale avrebbe dovuto effettuare un'autonoma valutazione del quadro sintomatologico che era chiaramente indicativo di un infarto in atto.
Dinnanzi alla Cassazione, la difesa dell'imputato lamenta la mancata valutazione della presenza di una colpa lieve, scriminante ai sensi dell'art. 3 della legge 8/11/12 n. 189, poiché l'attività del medico di continuità non prevede il loro intervento in casi di urgenza, pertanto l'addebito di imprudenza ed imperizia formulato poteva essere connotato da colpa lieve; ciò, peraltro, si ricava indirettamente dalle conclusioni del perito d'ufficio che aveva definito l'atteggiamento tenuto dall'imputato come prudente e quindi in assonanza con le "buone pratiche" mediche (non esistono linee guida per i medici di continuità).
Concordi gli Ermellini, i quali evidenziano che l'art. 3 della legge summenzionata stabilisce che "L'esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve".
In tal modo la colpa nel nostro ordinamento non ha più solo il ruolo di parametro per la determinazione della pena (art. 133 c.p.), ma anche una diretta incidenza sulla tipicità del fatto.
La carenza motivazionale della sentenza impugnata sta nel fatto che essa non si è confrontata esplicitamente con la novità normativa introdotta dalla legge "Balduzzi": ormai la valutazione del rispetto
delle linee guida e della buone pratiche, unitamente al grado della colpa, costituiscono le premesse per discernere l'ambito del penalmente rilevante in ambito di responsabilità del medico.
Il perito del G.i.p. ha rilevato che l'imputato, operante nel Servizio di Continuità Assistenziale, si era "conformato ai principi della scienza medica rapportati agli elementi ed alle risorse disponibili", pertanto, avrebbe peccato di un "eccesso di prudenza" se avesse deciso di avviare il paziente ad un nuovo ricovero in Pronto Soccorso.
Sono dunque illogiche le osservazioni della Corte di merito perché fondano la ritenuta colpevolezza dell'imputato sulla errata diagnosi dovuta ad imperizia nella "autonoma" valutazione della sintomatologia
che presentava il paziente, ma non tengono conto che "il processo diagnostico parte da un'attività di anamnesi che comprende anche la conoscenza della storia clinica del paziente e, quindi, le precedenti terapie e ricoveri a cui è stato sottoposto".
Era stato dunque correttamente valutato dal giudice di primo grado, nonostante la "Balduzzi" non fosse ancora in vigore, la possibile incidenza delle valutazioni effettuati in ospedale sulla errata diagnosi effettuata dall'imputato.
Si rende necessaria una nuova valutazione circa il grado della colpa, alla luce della depenalizzazione effettuata dalla legge 189/2012, e quindi un annullamento dell'impugnata sentenza con rimessione al giudice di rinvio.
Cass., IV sez.penale, sent. 45527/2015