di Lucia Izzo - Va inquadrato nell'ambito del rapporto di lavoro parasubordinato l'attività dell'avvocato dipendente di un ente pubblico, inquadrato nel ruolo amministrativo, che esercita l'attività di legale solo in favore dell'ente e che ha ricevuto molteplici procure alle liti senza che l'incarico fosse stipulato in forma scritta.
Il patrocinio legale, infatti, non può ritenersi compreso nel rapporto di pubblico impiego tra l'ente territoriale e il professionista, quando questi non sia precisamente inquadrato nel ruolo legale ma in quello amministrativo.
Lo chiarisce la sentenza della Corte di Cassazione, seconda sezione civile, n. 23511/2015 (qui sotto allegata) che ha statuito sulla richiesta di un avvocato, dipendente della Regione, circa il pagamento di parcelle per aver lui adempiuto incarichi professionali di assistenza e rappresentanza giudiziale.
Nel caso di specie erano già intervenute le Sezioni Unite per dirimere un conflitto di giurisdizione, dichiarando che della fattispecie dovesse occuparsi il giudice ordinario: infatti, per i giudici della Suprema Corte, il patrocinio legale prestato da un avvocato in favore di un ente territoriale non è riconducibile, per sua stessa natura, nell'ambito del rapporto di pubblico impiego tra l'ente territoriale e il professionista quando questi, come nel caso di specie, è inquadrato non nel ruolo legale, ma in quello amministrativo. In tale ipotesi il rapporto di pubblico impiego non rappresenta la fonte della doverosa esecuzione di detta attività, ma semmai la mera occasione del conferimento di un mandato di carattere professionale.
In linea con questo indirizzo, la Corte d'Appello ha dunque inquadrato le prestazioni rese dall'avvocato in favore della Regione nell'ambito di un rapporto di lavoro parasubordinato (ex art. 409, n. 3 c.p.c.), anche in considerazione del fatto che costui, iscritto nell'albo speciale degli avvocati, aveva esercitato l'attività di legale solo in favore di questo ente e non in favore di terzi.
Per gli Ermellini, prive di pregio sono le censure del ricorrente in quanto correttamente i giudici del gravame hanno, in aderenza al dictum della Cassazione, sottolineato sia il carattere continuativo della collaborazione professionale, sia l'assoggettamento dell'avvocato all'ingerenza e alle direttive della Regione.
Manca, inoltre, una qualunque stipulazione sottoscritta fra le parti che attesti l'esistenza di un contratto di patrocinio con contestuale rilascio della procura alle liti ai sensi dell'art. 83 c.p.c.
Nella specie, correttamente la Corte d'Appello ha evidenziato che ciò che viene in rilievo non è il singolo contratto di amndato professionale, ma il contratto di lavoro parasubordinato da cui traggono origine le singole delibere di incarico e il conseguente rilascio delle procure alle liti, accordo, questo, per il quale è mancata la stipulazione in forma scritta.
I singoli atti di esecuzione, consistenti nel conferimento di volta in volta delle procure alle liti, non possono surrogare la forma scritta richiesta ad substantiam.
La richiesta di rimborso delle parcelle presentate risulta, per tali ragioni, inammissibile.
Cass., II sezione civile, sent. n. 23511/2015