di Marina Crisafi - Non è risarcibile il pedone che cade mentre cammina su una strada non asfaltata e in pendenza, perché i danni subiti non possono ricondursi ad una inadeguata manutenzione del manto stradale, ma soltanto alla sua negligenza. Lo ha stabilito la prima sezione civile della Corte d'Appello di Palermo, in una recente sentenza (n. 778/2015, qui sotto allegata), rigettando il ricorso di una donna contro il Comune di Realmonte per il risarcimento dei danni subiti in conseguenza di una "rovinosa" caduta a terra avvenuta mentre camminava a piedi in una delle vie cittadine, dovuta al dislivello del manto stradale non segnalato.
La donna riportava diverse lesioni e ferite e trascinava in giudizio l'amministrazione comunale, chiedendo che alla stessa venisse attribuita la responsabilità del sinistro, in quanto gravata quale manutentore della strada, dell'obbligo di predisporre le opportune cautele per prevenire situazioni di pericolo alla cittadinanza.
Il Tribunale le dava ragione e condannava il Comune al pagamento della complessiva somma di 19.200 euro, oltre al pagamento degli interessi della rivalutazione monetaria e delle spese di giudizio, sull'assunto che "dalla proprietà pubblica delle strade poste all'interno dell'abitato discende non solo l'obbligo dell'ente all'osservanza del principio generale del neminem laedere per evitare ad altri danni, ma anche quello della manutenzione, come in particolare stabilito dall'art. 5 R.D. 1056/1923".
Doveva dunque affermarsi l'obbligo del comune, quale proprietario della strada, di provvedere alla sua manutenzione, in guisa che il suo uso si svolgesse in condizioni di normalità e senza pericolo per gli utenti, e negata, invece, qualsiasi negligenza o imprudenza da parte della donna.
Ma la Corte d'Appello la pensa diversamente.
Richiamando dottrina e giurisprudenza concordi, il giudice palermitano ha affermato che "il regime di responsabilità ex art. 2051 c.c. è applicabile al caso di danno prodotto da manchevolezze della manutenzione del manto stradale, e che per l'esclusione dell'applicazione di tale regime occorre la dimostrazione dell'impossibilità oggettiva per l'ente pubblico di esercitare un controllo continuo e completo sullo stato delle strade".
Inoltre, il Comune, in quanto proprietario dell'impianto viario posto all'interno del perimetro di esso, ha proseguito la Corte, "è responsabile della sua custodia, ed è tenuto alla manutenzione del bene demaniale in modo da evitare possibili rischi per gli utenti, anche nel caso in anche nel caso in cui la rete viaria adibita all'uso diretto da parte della collettività, si presenti di notevole estensione".
Nondimeno, in tema di responsabilità extracontrattuale
relativa alla c.d. "insidia" o "trabocchetto", ha rilevato il collegio, grava sulla parte danneggiata, in presenza di un fatto storico qualificabile come illecito ai sensi dell'art. 2043 c.c., "l'onere della prova degli elementi costitutivi di tale fatto, del nesso di causalità, del danno ingiusto, e della imputabilità soggettiva, mentre l'ente pubblico, preposto alla sicurezza dei pedoni e detentore del dovere di vigilanza ha l'onere di dimostrare o il concorso di colpa del pedone o la presenza di un caso fortuito che interrompe la relazione di causalità tra l'evento ed il comportamento colposamente omissivo dell'ente stesso".Nella vicenda, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice di prime cure, per la corte d'appello, la danneggiata non ha offerto alcuna prova dell'esistenza di un'insidia o trabocchetto, o di una situazione comunque evitabile con l'ordinaria diligenza, non dimostrando appunto né la presenza di buche, né di alterazioni della sede di stradale, ma soltanto che la via non era asfaltata e presentava una certa pendenza.
Tuttavia, ha concluso la Corte, "non sussiste alcuna disposizione di legge che imponga ai comuni di asfaltare tutta la propria rete viaria, e nemmeno di non realizzare strade in pendenza, fermo restando a loro carico l'obbligo di evitare il formarsi di buche e di dislivelli che presentino le caratteristiche di insidie per gli utenti".
Né, peraltro, può addursi la causa del sinistro alla scarsa illuminazione, atteso che lo stesso si è verificato nel tardo pomeriggio di un giorno estivo, quando il "sole è ancora alto sull'orizzonte e la luce naturale è più che sufficiente per potere transitare sulle pubbliche vie senza pericolo".
Per cui, ha concluso la corte palermitana, la causa dell'incidente non può che attribuirsi esclusivamente al difetto di attenzione della donna, la quale dovrà rassegnarsi al rigetto della domanda e al pagamento delle spese di entrambi i gradi di giudizio.
Corte d'Appello di Palermo, sentenza n. 778/2015