All'esito di un lungo e complesso iter argomentativo, la Consulta, con la pronuncia in commento, ha chiarito che, ai fini dell'accesso al percorso giudiziale di rettificazione anagrafica, non è necessario il trattamento chirurgico.
Ciò, soprattutto, in ragione dell'assenza, nella legge n. 164/1982 (che regola la materia), della specificazione circa le modalità che possono dar luogo alla modifica, ovverosia se esse siano da ricondurre a interventi chirurgici o a cure ormonali o, ancora, conseguano ad una condizione congenita.
All'interprete, dunque, viene lasciato il compito di definire in concreto il perimetro delle modificazioni e le modalità con le quali realizzarle.
La Corte ha a tal proposito precisato che le disposizioni di cui alla suddetta legge costituiscono l'approdo di un'evoluzione volta a riconoscere il diritto all'identità di genere come diritto fondamentale all'identità personale.
A tal fine, viene dato rilievo non solo a elementi di carattere fisico ma soprattutto a elementi di carattere psicologico e sociale. Insomma per i giudici, che si rifanno anche alla loro precedente sentenza n. 161/1985, il sesso è un dato complesso della personalità, determinato da un insieme di fattori.
Così deve essere rimessa al singolo la scelta delle modalità attraverso le quali realizzare il proprio percorso di transizione di genere, ovviamente con l'assistenza di personale specializzato e tenendo conto di tutti gli aspetti che compongono l'identità di genere: psicologici, comportamentali e fisici.
Insomma, è alla varietà delle singole situazioni soggettive che, per la Consulta, va ricondotta l'ampiezza del dato letterale della norma e la mancanza di rigide predeterminazioni.
Rimane così imprescindibile procedere a un accertamento giudiziale rigoroso delle modalità che hanno condotto al cambiamento e del carattere definitivo di quest'ultimo, accertamento rispetto al quale il trattamento chirurgico rappresenta uno strumento solo eventuale.
Corte costituzionale testo sentenza numero 221/2015