di Lucia Izzo - Nel procedimento disciplinare nei confronti dell'avvocato, la sentenza penale irrevocabile di patteggiamento produce effetto vincolante con riguardo all'accertamento dei fatti, all'affermazione che l'incolpata li ha commessi ed alla responsabilità dell'autore. Si rende, tuttavia, ugualmente necessaria "un'autonoma valutazione del fatto e della personalità del soggetto" in sede disciplinare.
In tal senso si sono pronunciate le Sezioni Unite Civili della Corte di Cassazione, nella sentenza n. 23836/2015 (qui sotto allegata) rigettando il ricorso di un'avvocatessa cancellata dall'albo professionale.
La sanzione irrogata dal Consiglio dell'Ordine degli Avvocati (COA) di Viterbo sopraggiungeva a seguito di una sentenza di patteggiamento nel procedimento penale in cui la ricorrente era coinvolta per avere in più occasioni acquistato sostante stupefacenti destinate alla cessione a terzi e di aver ceduto tale sostanza, verosimilmente cocaina, a più persone.
Il provvedimento disciplinare, sospeso nelle more dell'accertamento penale, si concludeva poi definitivamente con la cancellazione della donna dall'albo degli avvocati. L'appello al Consiglio Nazionale Forense veniva anch'esso respinto.
La ricorrente sostiene che la sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti non esplica alcuna efficacia in ordine alla valutazione sulla rilevanza del fatto e sulla personalità del suo autore sotto il profilo deontologico, poiché tale apprezzamento è riservato al giudice disciplinare, in coerenza con quanto disposto dall'art. 5 del Codice deontologico forense.
Di contrario avviso gli Ermellini, che appoggiano l'operato del CNF il quale "non si è trincerato, come prospetta il ricorso, dietro il rilievo, pur esatto (cfr Cass. SU 21591/13), che la sentenza di applicazione di pena patteggiata, pur non potendosi configurare come sentenza di condanna, presuppone pur sempre una ammissione di colpevolezza ed esonera il giudice disciplinare dall'onere della prova".
Infatti lo stesso Consiglio ha chiarito, nel momento in cui ha confermato la pronuncia di condanna, si renda necessaria "un'autonoma valutazione del fatto e della personalità del soggetto", valutazione evidentemente compiuta nella decisione del COA che in tal sede trovava conferma.
Il Consiglio territoriale aveva puntualmente applicato il criterio di adeguatezza in relazione al "clamore che i gravi fatti di droga" avevano determinato nell'opinione pubblica e relativamente all'offesa della dignità e del decoro della classe professionale, derivata "dalle reiterate e gravi condotte dell'incolpata".
Per quanto riguarda, invece, le doglianze circa l'intervenuta prescrizione dell'addebito disciplinare, i giudici di Cassazione confermano che il termine è pari a 5 anni. Tuttavia, la sentenza disciplinare del COA ha avuto effetto interruttivo, quindi il termine quinquennale, ricominciato a decorrere dopo la sua pubblicazione, risulta ancora in corso alla data del ricorso per cassazione e della decisione .
I giudici rammentano, inoltre, un orientamento diffuso in giurisprudenza secondo cui nella fase giurisdizionale davanti al Consiglio Nazionale Forense "opera il principio dell'effetto interruttivo permanente di cui al combinato disposto degli artt. 2945, secondo comma e 2943 cod. civ., effetto che si protrae durante tutto il corso del giudizio e nelle eventuali fasi successive dell'impugnazione innanzi alle Sezioni Unite e del giudizio di rinvio fino al passaggio in giudicato della sentenza".
Sezioni Unite Civili, sentenza 23836/2015