di Valeria Zeppilli - Se un erede aliena a un terzo, estraneo, la quota indivisa di un unico cespite ereditario, va presunta l'alienazione della sua corrispondente quota ideale dell'universum ius defuncti.
Di conseguenza, il coerede è legittimato a esercitare il retratto successorio.
Ciò a meno che il retrattario non riesca a dimostrare che la vendita ha avuto ad oggetto un bene a sé stante.
Tale dimostrazione, nei fatti, può avvenire solo con elementi concreti della fattispecie e intrinseci al contratto, senza che si possa far riferimento al comportamento del retraente rimasto estraneo al contratto stesso.
Così, costituiscono validi elementi idonei a fornire la predetta prova la volontà delle parti, lo scopo che esse hanno perseguito, la consistenza del patrimonio ereditario e il suo confronto con l'entità dei beni che sono stati venduti.
Sulla base di tali argomentazioni, già consolidate in giurisprudenza, la Corte di Cassazione, con la sentenza numero 23925 depositata il 24 novembre 2015 (qui sotto allegata) ha respinto il ricorso di quattro fratelli che, alle spalle di un quinto, avevano alienato a una società le loro quote del bene immobile ricevuto in eredità dai genitori.
In assenza della prova che l'alienazione ha riguardato beni a sé stanti, non può infatti negarsi che prima di cedere le loro quote a terzi, i fratelli avrebbero dovuto notificare all'altro, rimasto escluso dall'operazione, la proposta di vendita, permettendogli, così, di esercitare il proprio diritto di prelazione.
Corte di cassazione testo sentenza numero 23925/2015