di Marina Crisafi - Se la bolletta telefonica aumenta perché il gestore l'ha adeguata agli indici Istat, l'abbonato non ha diritto di recedere senza penali dal contratto. Non si è in presenza infatti di una modifica unilaterale del contratto di telefonia da parte del gestore, ma di un addebito automatico ancorato ad indici oggettivi, coma appunto quelli dei prezzi al consumo individuati dall'istituto pubblico.
A sancirlo è la Corte di Giustizia Europea, con la sentenza C-326-14, pubblicata oggi, pronunciandosi su una vertenza relativa a un'associazione di consumatori contro la Telekom austriaca, ma che interessa, come evidente, tutti i paesi europei.
Nel caso di specie, oggetto del contendere era la clausola controversa contenuta nelle condizioni generali del contratto che prevede un adeguamento delle tariffe in base a un indice annuale oggettivo dei prezzi al consumo stabilito dall'istituto austriaco di statistica.
Per i giudici del Lussemburgo, "l'adeguamento tariffario, come previsto dal contratto, nei limiti in cui si basa su un metodo di indicizzazione chiaro, preciso e accessibile al pubblico, derivante da decisioni e da meccanismi propri della sfera pubblica, non può porre gli utenti finali in una situazione contrattuale differente rispetto a quella che emerge dal contratto il cui contenuto è determinato dalle condizioni generali che contengono la clausola in questione".
Per cui una variazione delle tariffe in tal senso, non costituisce una modifica unilaterale delle condizioni contrattuali, in violazione della c.d. direttiva sul servizio universale europea (cfr. art. 20, paragrafo 2, direttiva 2002/22/CE), che "conferisce all'abbonato il diritto di recedere dal contratto senza penali".
Corte di Giustizia Europea, sentenza C-326/14