di Marina Crisafi - Può dire addio all'assegno divorzile la moglie che si trova nel pieno delle capacità lavorative e in più vanta un reddito proveniente da un canone di locazione di un immobile di proprietà. Lo ha sancito la Cassazione, con l'ordinanza n. 24324/2015, depositata venerdì scorso (qui sotto allegata), ribadendo la "linea dura" sul mantenimento all'ex coniuge che ormai sta prendendo sempre più piede all'interno della giurisprudenza (sia di legittimità che di merito).
Per gli Ermellini, il ricorso dell'ex moglie avverso la sentenza della Corte d'Appello di Bologna che, pronunciando la cessazione del matrimonio, annullava la pronuncia del giudice delle prime cure che aveva previsto in suo favore (a carico del marito) un assegno mensile di 300 euro, è inammissibile.
A nulla valgono, le doglianze della donna che lamentava l'impossibilità di mantenere con i propri redditi il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, dato che il divorzio le aveva sottratto la principale fonte di apporto economico.
A detta della donna, la disparità dei redditi rispetto al marito, che guadagnava 35mila euro l'anno, era evidente, posto che lei viveva invece soltanto con i 350 euro derivanti dall'affitto di un monolocale acquistato con la liquidazione della quota di comproprietà dell'appartamento coniugale, e per di più era disoccupata e non in grado di trovare un'attività lavorativa, data "l'oggettiva penuria di lavoro" riscontrabile nella sua regione, la Campania, dove era tornata a vivere dopo aver perso il precedente lavoro, a Forlì.
Ma per la sesta sezione civile, la donna ha torto su tutta la linea.
L'accertamento del diritto all'assegno divorzile, ha affermato infatti la S.C. "va effettuato verificando l'inadeguatezza dei mezzi del coniuge richiedente, impossibilitato a procurarseli per ragioni oggettive, raffrontati ad un tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio e che sarebbe presumibilmente proseguito in caso di continuazione dello stesso".
E, nel caso di specie, ha concluso la Corte, il divario dei redditi percepiti dalla donna rispetto a quelli del marito non è certo imputabile "ad oggettive difficoltà di reperimento di un lavoro" che non possono ritenersi provate soltanto in ragione dell'attuale luogo di residenza, tanto più che la stessa non aveva risposto alla chiamata dell'ufficio di collocamento di Forlì. Senza contare, che la donna non era del tutto sfornita di capacità reddituale, in quanto non solo percepiva un canone di locazione ma era anche proprietaria di un immobile ereditato dalla madre.
Per cui addio assegno e ricorso rigettato.
Cassazione, ordinanza n. 24324/2015