Dott. Stefano Oliveto - La novella 67/2014, deputata a modificare profondamente il sistema penale, ha operato una rilevante modifica riguardo all'istituto della messa alla prova.
Nell'esperienza americana l'istituto della Probation nasceva ai fini di rieducare il soggetto reo, sottraendo quest'ultimo, in determinati casi , al regime carcerario, in modo da ampliare le possibilità di effettivo reinserimento sociale del soggetto macchiatosi di un crimine.
Ad opera della novella del 2014, suddetto istituto è entrato pieno titolo quale strumento deputato in generale a realizzare, ove svoltosi con esito positivo, l'estinzione del reato, così come agli artt. 168 bis e ss. c.p.
Tale estensione generale del rimedio ai soggetti adulti, è stata però accompagnata, in sede di normazione, da una peculiare codificazione, soprattutto in seno alle conditiones sine qua non per l'ammissione alla messa alla prova.
Riguardo tale profilo il comma primo dell'art 168 bis c.p. risulta cristallino nel limitare la proponibilità del rimedio de qua solo ed esclusivamente ove si proceda per reati puniti con la sola pena pecuniaria, ovvero con una pena detentiva non superiore nel massimo a quattro anni di reclusione, estendendo ulteriormente il novero di applicazione a tutti quei reati che, ai sensi dell'art 550, comma 2, c.p.p., sono procedibili tramite citazione diretta a giudizio dinanzi dal giudice monocratico.
La ratio giustificatrice di tale rimedio, da molti autori definito quasi come strumento premiale del reo, è quella di non solo riabilitare il soggetto, ma permettere a quest'ultimo di poter riparare gli effetti negativi delle proprie condotte, e dove possibile anche il risarcimento del danno cagionato.
Per quanto riguarda la prassi applicativa dell'istituto, nelle aule di giustizia, sempre più frequentemente viene prospettata una sospetta incostituzionalità con riguardo alle ipotesi di proposizione del rimedio a seguito di un decreto penale di condanna.
Preliminarmente si ricorda che ove il Pm si determini con il mezzo del decreto penale di condanna, l'imputato , nella veste del proprio legale, avrà un termine pari a quindici giorni dalla notifica del medesimo per fare opposizione al medesimo.
In tale frangente di tempo la difesa può determinarsi riguardo alla richiesta della messa alla prova del reo, ai sensi dell'art 464 bis c.p.p., con il previo conferimento di una procura speciale necessaria per la proposizione del rimedio de qua.
Molti operatori del diritto sostengono che, in tale breve lasso di tempo, sia impossibile listare, presso gli uffici penali di esecuzione esterna, un programma di trattamento idoneo alla messa alla prova del soggetto.
Difatti viene sospettata non solo l'incostituzionalità con riguardo all'art. 24 Cost., in merito al diritto alla difesa, ma ulteriormente con il combinato disposto tra l'art 2 Cost. e art 3, comma 2, Cost., una vera e propria irragionevolezza della scelta legislativa, da cui discende un grave vulnus al principio di eguaglianza .
Contraria a tale prospettazione risulta l'osservazione secondo la quale tale scoglio interpretativo possa essere superato con una mera interpretazione di natura letterale.
Incontrovertibile è infatti il dato normativo di cui all'art. 464 bis, comma 4, ove riscontrata l'impossibilità di presentare un programma concordato, sia possibile comunque la produzione della richiesta di elaborazione del medesimo programma.
Difatti quest'ultima ex se rende non rigettatile per inammissibilità la richiesta, potendo infatti il giudice assegnare un breve rinvio in modo da permettere al difensore di dotarsi di un programma concordato per lo svolgimento della messa alla prova del proprio assistito.
In conclusione viene a rilevare come, tali eccezioni non siano supportate da un adeguato fondamento costituzionale e che, nell'esperienza processuale, possano invece rappresentare dei meri rimedi dilatori ai fini del prolungamento delle tempistiche processuali nelle ipotesi di accoglimento da parte del giudice del medesimo incidente di costituzionalità.