di Lucia Izzo - Non integra il reato di favoreggiamento della prostituzione la condotta di chi concede in locazione un immobile a coloro che esercitino per proprio conto l'attività di meretricio, nonostante sia a conoscenza dell'uso a cui gli stessi immobili erano stati destinati dal locatario.
Si pronuncia così la Corte di Cassazione, sezione terza penale, nella sentenza n. 47594/2015 (qui sotto allegata), ribadendo un indirizzo ormai consolidato (leggi: "Cassazione: affittare un appartamento a una prostituta a prezzo di mercato non è reato") e accogliendo il ricorso proposto da un locatore, indagato per favoreggiamento della prostituzione i cui tre appartamenti, locati a quattro persone che vi esercitavano attività di meretricio, erano stati sottoposti a sequestro preventivo dal Gip.
Il Tribunale ravvisava nella condotta dell'uomo il "fumus commissi delicti" poiché, dalle sommarie informazioni testimoniali rese dai conduttori dei predetti immobili, costui era a conoscenza dell'attività ivi svolta.
Contrari i giudici di Cassazione, i quali osservano che "laddove la locazione avvenga a prezzo di mercato, la cessione del godimento di un appartamento ad un soggetto che vi eserciti la prostituzione non è fattore di per sé idoneo ad integrare gli estremi del reato di favoreggiamento della prostituzione sebbene il conduttore fosse consapevole dell'uso cui l'immobile era destinando".
Infatti, la stipulazione del contratto e la messa a disposizione del locale, non rappresentano un effettivo ausilio al meretricio essendo necessario, per rilevare l'esistenza del reato, "il riscontro della prestazione da parte del locatore anche di altri servizi in favore della prostituta", idonei ad agevolare l'attività di costei, come ad esempio la ricezione dei clienti, la fornitura di profilattici o la predisposizione dei testi per le inserzioni pubblicitarie.
Nessuna di simili attività collaterali è stata evidenziata nel caso di specie ed inoltre il canone locativo versato per ciascuno degli appartamenti in sequestro non è risultato esuberante rispetto all'ordinario canone di mercato.
L'ordinanza impugnata va pertanto annullata e sarà compito del giudice del rinvio rivalutare la fondatezza o meno della richiesta di riesame del provvedimento di sequestro preventivo a suo tempo presentata.
Cass., III sez. penale, sent. 47594/2015