di Marina Crisafi - YouTube non si può vietare, per lo meno non in modo assoluto, anche perché attraverso la piattaforma si usufruisce del c.d. "citizen journalism" ed impedirne l'accesso significherebbe rendere inaccessibile una fonte di conoscenza ledendo così il diritto alla libertà di informazione. Lo ha sancito la Corte Europea dei Diritti Umani, nella sentenza Cengiz e altri dell'1 dicembre scorso (qui sotto disponibile in lingua francese), pronunciandosi sulla violazione da parte della Turchia dell'art. 10 della Convenzione che protegge il diritto alla libertà di espressione. Ad adire la corte di Strasburgo erano stati tre professori universitari che si opponevano al blocco dell'accesso di YouTube da parte dell'autorità giudiziaria, effettuato per via della riproduzione di video ritenuti lesivi della memoria del primo presidente e fondatore della Turchia moderna, Atatürk.
Perdendo in primo e in secondo grado innanzi al Tribunale penale di Ankara, i docenti si rivolgevano alla Cedu ottenendo piena ragione.
Per la corte europea i prof, così come ogni altro individuo, hanno il diritto di ricevere informazioni con tutti gli strumenti e, giocoforza, anche via web, tanto più che la piattaforma veniva utilizzata dagli stessi a scopi didattici e professionali.
Internet oggi ha colto l'occasione di affermare Strasburgo è uno dei mezzi principali "per l'esercizio, da parte degli individui, del proprio diritto alla libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee". E YouTube è una importante fonte di informazione, il cui blocco impedirebbe agli utenti di informarsi su questioni di interesse pubblico alle quali non potrebbero accedere con modalità diverse. Per cui, ogni divieto di accesso in tal senso, comporta una violazione della libertà dell'individuo e, dunque, un'ingerenza vietata dalla Convenzione dei diritti dell'uomo.
Cedu, sentenza 1 dicembre 2015