di Lucia Izzo - L'azienda rimasta silenziosa di fronte all'invito del professionista ad accordarsi convenzionalmente per il pagamento del suo onorario può portare alla condanna ex art. 96 c.p.c. nella controversia a seguito instauratasi. Infatti, il giudice può riscontare in un simile comportamento gli estremi della colpa o della mala fede nel resistere in giudizio.
Il Tribunale di Verona (giudice Vaccari) ha dato ragione all'avvocato che aveva prestato la propria opera professionale per un'azienda in un procedimento di mediazione e in un accertamento tecnico preventivo.
Non solo il professionista ha diritto ad ottenere quanto gli spetta, ma la società è sanzionata con un ulteriore esborso pari a 1000 euro a causa della malafede dimostrata per non aver risposto alla proposta di negoziazione assistita dell'avvocato prima dell'instaurazione del giudizio.
La decisione è giustificata dal combinato disposto degli art. 96, comma 3, c.p.c e dalla disposizione ex art. 4, comma 1, DL 132/2014 il quale chiarisce che "L'invito a stipulare la convenzione deve indicare l'oggetto della controversia e contenere l'avvertimento che la mancata risposta all'invito entro trenta giorni dalla ricezione o il suo rifiuto può essere valutato dal giudice ai fini delle spese del giudizio e di quanto previsto dagli articoli 96 e 642, primo comma, del codice di procedura civile".
Non è il mero ritardo nella risposta a far scattare le conseguenze di legge, ma neppure può ritenersi sufficiente come "risposta" la semplice contestazione dell'azienda riguardante il quantum della somma pretesa dall'avvocato disposto a conciliare. La società, infatti, sollecitata dal legale non ha assunto alcuna concreta iniziativa per addivenire ad una composizione della faccenda prima di arrivare dinnanzi al giudice.
Secondo il Tribunale, la società avrebbe dovuto a sua volta formulare una proposta di pagamento di una somma determinata come disposto dall'art. 91, prima comma, c.p.c. altrimenti il riscontrato elemento soggettivo della malafede impone di pagare.