Non può negarsi in radice la pignorabilità degli emolumenti, ma solo attenuarla in determinati casi. E i criteri e i limiti spettano al legislatore

di Lucia Izzo - La tutela della certezza dei rapporti giuridici, in quanto collegata agli strumenti di protezione del credito personale, non consente di negare in radice la pignorabilità degli emolumenti, ma di attenuarla per particolari situazioni la cui individuazione è riservata alla discrezionalità del legislatore.


Lo ha stabilito la Corte Costituzionale con la sentenza n. 248/2015 (qui sotto allegata) depositata il 3 dicembre.

La Consulta è stata investita del giudizio sulla legittimità costituzionale dell'art. 545, quarto comma, c.p.c. dal Tribunale di Viterbo in funzione di giudice dell'esecuzione: nel caso in esame era sorta procedura esecutiva nei confronti di una signora per cui era stato richiesto il pignoramento di parte del suo stipendio mensile (pari a euro 474,00) in base all'art. 545 c.p.c., secondo il quale "Tali somme possono essere pignorate nella misura di un quinto per i tributi dovuti allo Stato, alle province ed ai comuni, ed in eguale misura per ogni altro credito".


In considerazione di quanto avverrebbe sull'esiguo stipendio, già ai minimi della sussistenza, il Tribunale rimettente evidenzia una supposta violazione del principio di eguaglianza per disparità di trattamento rispetto alle pensioni

, per le quali la sentenza della Corte Costituzionale n. 506/2002 ha stabilito un'impignorabilità della parte necessaria a soddisfare le esigenze minime di vita del pensionato

In via subordinata, si porrebbe una violazione anche rispetto a quanto stabilito dalla nuova normativa in tema di pignoramenti per crediti tributari dello Stato (art. 72-ter del d.P.R. n. 602 del 1973): secondo il Tribunale ordinario di Viterbo tale novella, introdotta nella materia dei pignoramenti per crediti aventi natura tributaria, mostrerebbe la considerazione del legislatore per l'attuale congiuntura economica ed il diverso contesto normativo.


Il giudice a quo chiede quindi alla Corte di esprimersi, pertanto, sulla impignorabilità assoluta del credito o sulla quantificazione dell'importo che potrà essere assegnato alla creditrice (un quinto od un decimo).



Il giudice delle leggi precisa, tuttavia, che "la facoltà di escutere il debitore non può essere sacrificata totalmente, anche se la privazione di una parte del salario è un sacrificio che può essere molto gravoso per il lavoratore scarsamente retribuito".

Infatti, tramite l'art. 545 c.p.c. "il legislatore si è dato carico di contemperare i contrapposti interessi contenendo in limiti angusti la somma pignorabile (e graduando il sacrificio in misura proporzionale all'entità della retribuzione): chi ha una retribuzione più bassa, infatti, è colpito in misura proporzionalmente minore".


Per costante orientamento, la scelta del criterio di limitazione della pignorabilità e l'entità di detta limitazione rientrano nel potere costituzionalmente insindacabile del legislatore.

Non esiste neppure un parallelismo tra la pignorabilità delle retribuzioni e quella delle pensioni: non può essere esteso ai crediti retributivi quanto affermato nella sentenza n. 506 del 2002 poiché la sentenza stessa esclude la estensibilità della fattispecie ai crediti di lavoro per la diversa configurazione della tutela prevista dall'art. 38 rispetto a quella dell'art. 36 Cost.


Come già avvenuto in passato, dunque, deve essere respinta la questione di legittimità costituzionale, in riferimento all'art. 36 Cost., dell'art. 545, quarto comma, c.p.c., nella parte in cui non prevede l'impignorabilità della quota di retribuzione necessaria al mantenimento del debitore e della famiglia (sentenze n. 434 del 1997, n. 209 del 1975, n. 102 del 1974, n. 38 del 1970, n. 20 del 1968 e ordinanze n. 491 del 1987, n. 260 del 1987 e n. 12 del 1977).

Corte Costituzionale sent. 248/2015
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