di Marina Crisafi - Va condannato il padre che non versa il mantenimento ai figli anche se vive in condizioni economiche molto precarie, in quanto disoccupato e per giunta in carcere per un certo periodo. Del resto, se non trova lavoro e se è stato arrestato, la colpa è solo sua.
Lo ha stabilito la sesta sezione penale della Cassazione, con la sentenza n. 50002/2015, depositata oggi (qui sotto allegata), rigettando il ricorso di un uomo ritenuto responsabile dal giudici di merito per il reato previsto dall'art. 12-sexies della legge n. 898/1970, per aver omesso di versare all'ex moglie l'assegno dovuto per il mantenimento dei due figli, in base a quanto statuito in sede di divorzio.
A nulla vale la tesi sostenuta dalla difesa secondo la quale, la corte distrettuale non avrebbe considerato lo stato di indigenza dell'uomo, costretto "a rivolgersi ai familiari per avere un aiuto e che ebbe a patire anche un periodo di custodia in carcere grazie al quale, avuto accesso, per un breve periodo, al relativo circuito assistenziale, ebbe a stornare in favore della moglie gli importi a tale titolo ricevuti".
Dal Palazzaccio optano per la "linea dura" e dichiarano il ricorso infondato.
Secondo il consolidato orientamento in materia (cfr., tra le tante, Cass. n. 11696/2011), ha affermato infatti la S.C. "l'impossibilità assoluta della somministrazione dei mezzi di sussistenza esclude il reato di cui all'art. 570, comma secondo, n. 2, c.p. solo quando sia incolpevole, giacché l'obbligato è tenuto ad adoperarsi per adempiere la sua prestazione".
E nel caso di specie, come puntualmente evidenziato dalla corte di merito, la situazione di indigenza è stata "provocata anche dal contegno, non immune da colpe, del ricorrente, che, abile al lavoro, non ha in alcun modo neppure addotto di aver posto in essere tutte le iniziative opportune per trovare una occupazione lavorativa tale da consentirgli di adempiere all'obbligo di mantenimento nei confronti della ex moglie e dei figli così come imposto dalla sentenza di divorzio".
E certamente non può ritenersi utile al fine, ha proseguito la Cassazione, "il periodo di detenzione carceraria ricompreso nell'arco temporale della contestazione, giacchè l'impossibilità di produrre reddito per siffatta ragione trova proprio fondamento in un comportamento delittuoso ascritto al ricorrente, evidentemente non immune da colpe in tal senso".
Da qui, il rigetto del ricorso e la condanna dell'uomo anche al pagamento delle spese processuali.
Cassazione, sentenza n. 50002/2015