Con la sentenza numero 25892/2015, depositata il 23 dicembre (qui sotto allegata), la sezione tributaria ha infatti affermato che la legge fiscale deve essere interpretata in conformità ai principi del diritto di famiglia.
Con la conseguenza che, ai fini tributari, la residenza che conta non è tanto quella dei singoli coniugi quanto quella della famiglia.
Nel caso di specie, ad essersi rivolta alla Corte era stata una contribuente che si era vista revocare, pro quota, l'agevolazione prima casa in quanto non si era trasferita tempestivamente nel Comune ove si trova l'immobile interessato, nonostante il marito in comunione legale vivesse già da tempo lì.
A tal proposito i giudici hanno sottolineato che l'articolo 144 del codice civile, nello stabilire che i coniugi fissano la residenza della famiglia secondo le esigenze di entrambi e quelle preminenti della famiglia stessa, tende a privilegiare le esigenze di quest'ultima come soggetto diverso e autonomo rispetto ai coniugi.
Ed è proprio sulla base di una simile prevalenza che va letta anche la norma tributaria in materia di agevolazioni prima casa: il metro di valutazione dei requisiti deve essere interpretato in maniera peculiare nel caso in cui sia presente un'entità particolare, quale è la famiglia.
La contribuente, quindi, nel caso di specie non dovrà rinunciare la beneficio: la sua famiglia risiede nel Comune ove si trova l'immobile.
In ragione del mutamento di orientamento, dovrà tuttavia pagare il proprio avvocato: le spese, infatti, vanno compensate.
Corte di cassazione testo sentenza numero 25892/2015