Avv. Francesco Pandolfi - In materia edilizia, la natura precaria di qualsiasi manufatto non si desume dalla temporaneità della destinazione dell'opera come attribuitale dal costruttore, ma risulta dalla vera destinazione della stessa: in altri termini essa deve essere concepita per un reale uso temporaneo e per specifici fini limitati nel tempo (in questo quadro, non dice nulla l'eventuale sua rimovibilità o il suo mancato ancoraggio al suolo).
Trattandosi, ad esempio, di un pollaio costruito con blocchetti di tufo, copertura di travi in legno e lamiera zincata e perimetrato da una rete di recinzione, questa specifica conformazione ne esclude a priori la natura temporanea, in quanto realizzato con materiali non facilmente eliminabili (manufatto adibito a ricovero di animali).
Per legge quindi, la natura non precaria dell'opera vuole che per la sua realizzazione sia richiesto il permesso di costruire.
Che cosa potrebbe accadere in penale?
Per principio generale sappiamo che le contravvenzioni relative agli abusi edilizi rientrano nel novero dei reati permanenti.
Nel caso in cui questa permanenza non fosse cessata, potrebbe sostenersi che eventuali cause di non punibilità (ad esempio per tenuità del fatto) non siano applicabili, proprio a fronte della perdurante compressione del bene giuridico protetto dalla norma incriminatrice.
Tuttavia, la Cassazione ha riconosciuto (sentenza n. 50215/2015, qui sotto allegata) che il reato permanente può essere "valutato" con riferimento all'"indice -criterio" della particolare tenuità dell'offesa (non abitualità del comportamento; esiguità del danno o del pericolo; ecc.), la cui sussistenza sarà tanto più difficilmente rilevabile quanto più tardi sarà cessata la permanenza.
In buona sostanza: l'eliminazione dell'abuso può permettere l'applicazione della causa di non punibilità.
In questa circostanza, come verificatosi nella sentenza in commento, la Corte di Cassazione annulla la sentenza impugnata per la verifica dell'applicazione della causa di non punibilità a fronte della tenuità del fatto, il tutto rinviando alla Corte di Appello chiamata ad adeguarsi ai principi di diritto affermati.
Per contattare l'avv. Francesco Pandolfi:
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Cassazione, sentenza n. 50215/2015