di Marina Crisafi - Risponde di rifiuto di atti d'ufficio il consulente tecnico del tribunale che, nonostante le sollecitazioni del giudice, non deposita la sua relazione. Lo ha affermato la sesta sezione penale della Cassazione, con la sentenza n. 51051/2015, depositata ieri (qui sotto allegata) confermando la condanna inflitta dalla Corte d'Appello di Messina alla pena di mesi 4 di reclusione oltre al pagamento delle spese processuali nei confronti di un CTU, ritenuto colpevole del reato di rifiuto integrato da condotta omissiva di atti di ufficio nell'ambito di un giudizio civile contenzioso, per non aver depositato la propria relazione integrativa, nonostante la "diffida" ad adempiere.
Se è vero che non qualsiasi ritardo dell'ausiliare è da qualificarsi come reato, è anche vero, ha ricordato il Palazzaccio, che c'è un limite di "ragionevole comporto" o di tempo di indugio tollerato, oltre il quale il ritardo diventa penalmente sanzionabile, salvo che non sia giustificato da una causa di forza maggiore.
Il ritardo, hanno affermato infatti i giudici della S.C., "oltre ad essere connotato e preceduto senza che venga fornita dall'agente giustificazione alcuna, da sollecitazioni ad adempiere da parte dell'ufficio che dell'opera del consulente si sarebbe dovuto avvalere, deve risultare connotato dal superamento di ogni tempo di ragionevole tolleranza ed essere rimesso, nella sua determinazione, alla stima del giudice del procedimento in cui l'opera avrebbe dovuto prestarsi".
In mancanza di un termine fissato per legge, l'opera dell'ausiliare si considera utilmente resa, in sostanza, solo quando arriva in tempo per rispondere alle ragioni di giustizia. Dal momento in cui tale linea di demarcazione viene superata, consegue l'integrazione della lesione penalmente rilevante del bene giustizia.
Per cui essendosi reso il CTU "destinatario silente di una pluralità di atti di invito al deposito" e quindi consapevole del proprio contegno omissivo senza fornire alcuna plausibile giustificazione al diniego di adempimento, il ricorso è rigettato e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.
Cassazione, sentenza n. 51051/2015