di Marina Crisafi - È nullo qualsiasi accordo tra marito e moglie che prevede di attribuire all'uno piuttosto che all'altro l'addebito della separazione. Lo ha stabilito il Tribunale di Caltanissetta con la recente sentenza n. 1419/2015, depositata il 24 novembre scorso (qui sotto allegata), rigettando le "conclusioni congiunte" presentate da due coniugi innanzi al giudice istruttore, nelle quali si prevedeva che la separazione fosse pronunciata con addebito per fatto e colpa della moglie, a causa della relazione extraconiugale dalla stessa intrapresa che aveva provocato la crisi del rapporto, con consequenziale perdita a suo favore del diritto all'assegno di mantenimento e rinuncia, in cambio, da parte del marito alla richiesta di risarcimento danni di 25mila euro.
Nell'istanza, i coniugi concordavano anche sull'affidamento collocamento e mantenimento del figlio minore.
Il tribunale siciliano accoglieva tali ultime richieste, ritenendole conformi all'interesse del ragazzo, ma bloccava la domanda di addebito della separazione a carico della moglie convenuta, in quanto, come affermato dalla giurisprudenza della Cassazione, vertente su diritti indisponibili e sottratta agli accordi tra le parti (cfr. tra le altre, Cass. 7998/2014; Cass. 22786/2004 e Cass. 176/1982).
Nello specifico ha osservato, il tribunale, "la pronuncia di addebito comporta in via automatica, per il coniuge a cui viene imputata la responsabilità della separazione, tanto la perdita (ai sensi degli artt. 158 c.c.) del diritto al mantenimento da parte dell'altro coniuge (materia questa che ben può costituire oggetto di un accordo delle parti), quanto (ai sensi dell'art. 458 c.c.) la perdita dei diritti successori spettanti sull'eredità dell'altro coniuge".
Per cui, con riferimento a tale ultimo aspetto, ai sensi dell'art. 458 c.c., deve ritenersi nulla "ogni convezione con cui taluno dispone della propria successione. È del pari nullo ogni atto col quale taluno dispone dei diritti che gli possono spettare su una successione non ancora aperta, o rinunzia ai medesimi" e ciò sia per la necessità di proteggere soggetti di giovane età, inesperti, o mal consigliati, "da atti dispositivi che potrebbero indurli a dilapidare in anticipo le sostanze che potrebbero ereditare dai propri congiunti", sia per quella di impedire la formazione di "convenzioni immorali e socialmente pericolose". Necessità che, ha spiegato il tribunale, pur se meno sentite rispetto al passato, dato anche il recente disegno di legge (n. 2151/2014), teso a modificare l'art. 458 c.c., "attraverso l'espresso riconoscimento della facoltà di rinunziare a diritti che possono spettare a taluno su una successione non ancora aperta", continuano a trovare applicazione tanto "a tutela della libertà negoziale del chiamato all'eredità (il quale solo al momento dell'apertura della successione è concretamente nelle condizioni di scegliere se accettare o meno i diritti derivanti dalla successione), quanto a tutela dell'ordine pubblico (poiché i patti successori derogano all'ordine legale della successione) e al buon costume".
Pertanto, risultando evidente che tramite la richiesta di addebito a proprio carico della separazione, benchè indirettamente, la moglie rinuncerebbe così ai diritti successori non ancora aperti, in violazione dell'art. 458 c.c., la domanda non può trovare accoglimento e qualsiasi accordo in tal senso è nullo.
Tale nullità non trascina con sé le convenzioni patrimoniali tra i due coniugi, per cui è legittimo, ha concluso il tribunale, sempre nel limite del rispetto dei diritti indisponibili, l'accordo volto alla rinuncia di uno all'assegno di mantenimento in proprio favore e a carico dell'altro, giacché (citando di nuovo la Cassazione, sentenza n. 18066/2014), va affermata la natura negoziale dello stesso, "dopo il superamento della concezione che ritiene la preminenza di un interesse, superiore e trascendente, della famiglia rispetto alla somma di quelli, coordinati e collegati, dei singoli componenti".
Tribunale Caltanissetta, sentenza n. 1419/2015