di Lucia Izzo - Va senz'altro condannato il titolare di copisteria che riproduce attraverso fotocopie 30 libri destinati alla didattica per venderli. Non ha alcun rilievo il fatto che il costo di ciascuna opera sia esattamente pari al valore complessivo delle fotocopie totali eseguite.
Lo ribadisce la Corte di Cassazione, terza sezione penale, nella sentenza n. 47590/2015 (qui sotto allegata) che ha dichiarato inammissibile il ricorso di un uomo avverso la sentenza della Corte d'Appello di Bologna che aveva confermato la condanna nei suoi confronti per il reato ex art. 171-ter, comma 1, lettera b), della legge n. 633 del 1941.
La violazione della normativa sul diritto d'autore appare evidente in quanto il ricorrente aveva riprodotto a fine di lucro in copie fotostatiche 30 opere letterarie complete destinate alla didattica, nonché sei pagine di altra opera a contenuto tecnico.
Tuttavia, l'uomo lamenta dinnanzi alla Cassazione la mancanza del "fine di lucro", elemento necessario per la rilevanza penale del reato summenzionato: infatti, chiarisce la difesa, le opere in questione erano state poste in vendita ad un prezzo che non superava il costo ordinario dei numero delle fotocopie eseguite per la riproduzione dell'opera.
Il fine di lucro, precisa nel ricorso, sarebbe stato evidenziabile solo nel caso in cui egli avesse praticato, in ragione del contenuto della fotocopia, trattandosi di opera coperta dal diritto d'autore, un sovrapprezzo ulteriore rispetto al'ordinario costo della fotocopia.
Lamentele prive di pregioper i giudici di Piazza Cavour.
Gli Ermellini sottolineano "l'indiscussa destinazione alla vendita dei volumi indebitamente riprodotti" dall'uomo, la quale "integra certamente l'elemento l'elemento psicologico del fine di lucro previsto dalla norma in questione".
Tale specifica finalità, prosegue il Collegio, ricorre "ogniqualvolta il movente che abbia spinto il soggetto a delinquere sia stato legato alla possibilità di trarre dalla propria condotta illecita un qualche guadagno patrimoniale che sia finanziariamente apprezzabile".
Nessun dubbio che nel caso di specie, anche se il prezzo di vendita
degli esemplari dei libri illecitamente duplicati fosse stato prossimo o anche coincidente con quello praticato per il mero servizio di fotocopiatura dei medesimi (contenuto entro limiti quantitativi che ne determinavano la liceità), "la finalità commerciale comunque sottesa all'intera operazione vale di per sé ad integrare, stante il programmato scambio di cosa contro prezzo, il necessario fine di lucro".Infatti, quest'ultimo non si identifica come una sorta di plusvalenza "rispetto al prezzo di mercato di altro analogo servizio svolto lecitamente, derivante all'agente quale impropria contropartita connessa alla modalità illecita di realizzazione dell'altra operazione".
All'inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente alle spese processuali.
Cass., III sez. pen., sent. 47590/2015