di Fulvio Graziotto - La Corte Costituzionale (sentenza n. 262/2015) ha dichiarato l'incostituzionalità dell'art. 2941, n. 7, c.c. nella parte in cui non prevede l'equiparazione di tutte le società commerciali ai fini della sospensione della prescrizione per le azioni di responsabilità da parte della società nei confronti degli amministratori finché sono in carica.
Il caso
La Consulta è stata chiamata a esprimersi su ricorso di un collegio arbitrale, il quale doveva pronunciarsi su alcuni illeciti di un amministratore di una società in nome collettivo.
Nella procedura arbitrale, per i fatti anteriori al 1° marzo 2005, era stata eccepita preliminarmente l'estinzione delle pretese della società per decorso del termine quinquennale di prescrizione, interrotto soltanto dalla notifica della domanda arbitrale.
L'amministratore convenuto in giudizio contestava la richiesta della società di trasporre alla società in nome collettivo, sulla scorta di un'asserita identità di ratio, i principi enunciati dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 322 del 1998: tale pronuncia aveva sancito la sospensione del termine di prescrizione di cui all'art. 2941, numero 7), c.c. soltanto per la società in accomandita semplice, contraddistinta da uno speciale assetto dei rapporti tra amministratori e soci, affine a quello delle società di capitali, e da limitati poteri di controllo dei soci accomandanti.
Nelle società in nome collettivo - argomentava l'amministratore - i rapporti sociali si atteggerebbero in modo diverso, in considerazione della tendenziale coincidenza tra soci e amministratori e dei poteri di indagine e di verifica, affidati ai soci che non svolgono le funzioni di amministratori. L'amministratore chiedeva che le domande della società fossero comunque respinte, per infondatezza, per carenza di legittimazione attiva della società attrice o per nullità conseguente all'indeterminatezza assoluta del petitum e della causa petendi.
La decisione
Gli arbitri denunciano il contrasto della norma impugnata con gli artt. 3 e 24 della Costituzione, in quanto assumono che l'ordinamento riservi alle società in nome collettivo un trattamento deteriore, privo di ogni ragion d'essere, rispetto alle società di capitali e alle società in accomandita semplice.
Le società di capitali e, dopo l'intervento additivo della stessa Corte Costituzionale (sentenza n. 322 del 1998), le società in accomandita semplice beneficiano della sospensione della prescrizione delle azioni di responsabilità contro gli amministratori, finché questi rimangono in carica. Tale sospensione non opera per le società in nome collettivo e non può essere affermata in virtù di un'interpretazione conforme al dettato costituzionale.
Gli arbitri non ritengono ragionevoli le giustificazioni tradizionalmente addotte per tale disparità di trattamento: tale disparità di trattamento pregiudicherebbe, in ultima analisi, il diritto di azione delle società in nome collettivo (art. 24 Cost.).
La Corte Costituzionale ha ritenuto la questione fondata, con un'analisi di cui si riportano i passaggi principali:
«Per le azioni di responsabilità, intraprese dalle società in nome collettivo contro gli amministratori, non opera la sospensione della prescrizione, sancita per le persone giuridiche e per le società in accomandita semplice. Il contrasto con il principio di eguaglianza appare stridente, in particolare, nella comparazione tra la società in nome collettivo e la società in accomandita semplice, assoggettata alle disposizioni della società in nome collettivo compatibili con il tipo sociale (art. 2315 cod. civ.).
Pur accomunate da una disciplina omogenea nei suoi tratti salienti, tali società differiscono nel regime di sospensione della prescrizione delle azioni di responsabilità.
Si tratta di una disparità di trattamento priva di una giustificazione plausibile, al pari delle differenze che ancora intercorrono in tale materia tra società in nome collettivo e persone giuridiche.
Le motivazioni, che hanno condotto questa Corte ad estendere alle società in accomandita semplice la sospensione della prescrizione vigente per le persone giuridiche, prescindono dalla peculiare composizione delle società in accomandita semplice e dalla distinzione tra soci accomandanti e soci accomandatari, che ne condiziona alcune specificità di disciplina. Dotate di valenza generale, esse si raccordano alla ratio della causa di sospensione della prescrizione e si attagliano, pertanto, anche alle società in nome collettivo.
In particolare, durante la permanenza in carica degli amministratori, è più difficile per la società acquisire compiuta conoscenza degli illeciti che essi hanno commesso e determinarsi a promuovere le azioni di responsabilità.
La ratio della causa di sospensione non risiede, dunque, nel dato formalistico della coincidenza tra attore e convenuto, tipica di un giudizio instaurato dalla società contro l'amministratore. Questa circostanza non chiarisce la specificità della causa di sospensione, che opera a beneficio di una sola parte, la società, e si prefigge di tutelarne la posizione.
La contrapposizione di interessi tra società e amministratori, che ostacola un'azione efficace e tempestiva della società, non ha alcuna attinenza con la personalità giuridica.
Le discriminazioni, legate a un dato estrinseco, sono disarmoniche rispetto alla ratio che ispira la disciplina della sospensione della prescrizione.
A fronte delle difficoltà operative, insite nell'accertamento degli illeciti degli amministratori ancora in carica, la personalità giuridica non configura un elemento qualificante e idoneo a tracciare un discrimine ragionevole tra le diverse società.
L'irragionevolezza di un criterio distintivo così congegnato si coglie anche sotto altri profili.
Se la personalità giuridica definisce la completa alterità tra la società e i soci che ne fanno parte, un fenomeno di unificazione soggettiva emerge anche nelle società di persone, che si pongono come autonomo centro di imputazione di diritti e obblighi, distinto rispetto alle persone dei soci (art. 2266, primo comma, cod. civ., che riconduce direttamente alla società l'acquisizione di diritti e l'assunzione di obbligazioni).
Dalla diversa conformazione della soggettività non possono scaturire diversità così gravide di conseguenze sulla disciplina delle azioni di responsabilità contro gli amministratori, tema di per sé estraneo alle mutevoli graduazioni della soggettività degli enti.
Un criterio distintivo, calibrato sulla personalità giuridica, si palesa irragionevole in un contesto normativo che registra, tra i molteplici tipi sociali, confini sempre più fluidi e ricorrenti occasioni di osmosi.
Una società di persone, composta da soci che non partecipino tutti all'amministrazione (art. 2261, primo comma, cod. civ.), non è meno bisognosa di tutela di una società di capitali, in cui l'organizzazione corporativa e il sistema di contrappesi e di controlli apprestano una protezione più incisiva contro gli abusi degli amministratori.
È arbitraria, pertanto, la scelta di diversificare la decorrenza dei termini di prescrizione in base a un elemento, la personalità giuridica, che non soltanto vede attenuarsi il suo ruolo di fattore ordinante della disciplina societaria, ma non ha portata scriminante per il diverso aspetto della responsabilità degli amministratori per gli illeciti commessi durante la permanenza in carica».
Per questi motivi, la Corte Costituzionale "dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 2941, numero 7), del codice civile, nella parte in cui non prevede che la prescrizione sia sospesa tra la società in nome collettivo e i suoi amministratori, finché sono in carica, per le azioni di responsabilità contro di essi.