di Marina Crisafi - Non commette il reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare il genitore obbligato che contribuisce parzialmente al mantenimento dei figli, con elargizioni periodiche che coprono le spese per l'abbigliamento, la scuola, lo sport e il cellulare. Lo ha affermato la sesta sezione penale della Cassazione, con la sentenza n. 535/2016, depositata ieri (qui sotto allegata), accogliendo il ricorso di un padre condannato, dalla Corte d'Appello di Trieste, a due mesi di carcere (pena poi riqualificata in una sanzione pecuniaria di circa 2.300 euro) per non aver contribuito a mantenimento dei figli minori secondo le disposizioni del giudice della separazione.
Per gli Ermellini, il reato previsto dall'art. 570, 2° comma, c.p., infatti, "ha come presupposto necessario l'esistenza di un'obbligazione alimentare ai sensi del codice civile, ma non assume carattere meramente sanzionatorio del provvedimento del giudice civile nel senso che l'inosservanza anche parziale di questo importi automaticamente l'insorgere del reato, di tal che, per configurare l'ipotesi delittuosa in esame, occorre che gli aventi diritto all'assegno alimentare versino in stato di bisogno, che l'obbligato ne sia a conoscenza e che lo stesso sia in grado di fornire i mezzi di sussistenza".
Difatti, precisano dal Palazzaccio, richiamando la giurisprudenza recente in materia (cfr. Cass. n. 159898/2014), ai fini della configurabilità del reato in esame, "nell'ipotesi di corresponsione parziale dell'assegno stabilito in sede civile per il mantenimento, il giudice penale deve accertare se tale condotta abbia inciso apprezzabilmente sulla disponibilità dei mezzi economici che il soggetto obbligato è tenuto a fornire ai beneficiari, tenendo inoltre conto di tutte le altre circostanze del caso concreto, ivi compresa la oggettiva rilevanza del mutamento di capacità economica intervenuta, in relazione alla persona del debitore, mentre deve escludersi ogni automatica equiparazione dell'inadempimento dell'obbligo stabilito dal giudice civile alla violazione della legge penale".
Di tali principi il giudice di merito non ha tenuto conto adeguatamente, omettendo di esplicitare le ragioni sulla scorta delle quali ha ritenuto provato che l'imputato avesse fatto mancare i mezzi di sussistenza ai figli, anche a fronte del soddisfacimento sia pur contenuto del "minimo vitale" e delle altre esigenze della vita quotidiana, come l'abbigliamento, i libri per l'istruzione, i mezzi di trasporto e quelli di comunicazione, oltre alla messa a disposizione dell'alloggio coniugale, facendo fronte al pagamento delle rate del mutuo.
Parola dunque al giudice del rinvio, che dovrà valutare se condannare o meno il papà alla luce dei bisogni reali dei figli, delle capacità economiche e della copertura parziale delle spese per le esigenze di vita.
Cassazione, sentenza n. 535/2016