Tale circostanza, infatti, è del tutto precaria e risolubile da parte dell'avente diritto con gli ordinari strumenti previsti dal nostro ordinamento per il recupero del possesso o della detenzione.
Il giudice dell'assegno divorzile, invece, è tenuto a calcolare la misura di quest'ultimo tenendo conto degli effettivi bisogni del coniuge più debole e della possibilità che questi siano soddisfatti misurando le disponibilità economiche di entrambe le parti interessate e i loro standard di vita a regime. Egli, viceversa, non deve tenere conto anche delle situazioni provvisorie, come tali destinate, prima o poi, a venire meno.
A chiarirlo è l'ordinanza numero 223, pubblicata dalla Corte di cassazione in data 11 gennaio 2016 (qui sotto allegata).
I giudici hanno anche precisato che, rispetto all'occupazione dell'immobile, non può trovare applicazione il principio in base al quale, ai fini della determinazione dell'assegno divorzile, è necessario tenere conto dell'intera consistenza patrimoniale dei coniugi, ricomprendendovi l'uso di una casa di abitazione in ragione del risparmio di spesa rispetto a un'eventuale locazione.
Infatti, nel caso di specie, l'appartamento risulta di fatto occupato e la valutazione di utilità fuoriesce dall'ambito dei valori legalmente posseduti da ciascuno dei coniugi.
Anche l'eventuale difficoltà di liberazione dell'immobile resta un dato di fatto estraneo alla ponderazione delle rispettive posizioni patrimoniali e reddituali.
Corte di cassazione testo ordinanza numero 223/2016