di Lucia Izzo - Il consenso alla pubblicazione della propria immagine costituisce un negozio unilaterale, avente a oggetto non il diritto all'immagine, personalissimo e inalienabile, che in quanto tale non può costituire oggetto di negoziazione, ma soltanto l'esercizio di tale diritto.
Tale consenso, sebbene possa essere occasionalmente inserito in un contratto, è sempre revocabile perché resta distinto ed autonomo rispetto alla pattuizione che lo contiene.
Lo ha deciso la Corte di Cassazione, prima sezione civile, nella sentenza n. 1748/2016 (qui sotto allegata).
Ricorre dinnanzi ai giudici una modella, lamentando che la società convenuta abbia utilizzato e continuato a utilizzare la sua immagine senza o contro il suo consenso, chiedendo il risarcimento dei danni subiti oltre alla rimozione e distruzione di tutti i ritratti e le fotografie illecitamente utilizzati.
Il Tribunale rigetta la richiesta, ritenendo che l'uso delle immagini dell'attrice, effettuato in Italia e all'estero dalla società chiamata in causa, non fosse abusivo perché la modella avrebbe acconsentito espressamente alla divulgazione delle fotografie e dei ritratti in un contratto sottoscritto con altra società austriaca, prevedendo altresì la possibilità di cedere l'immagine a terzi.
La donna ricorre in Cassazione dopo che l'impugnazione in secondo grado viene dichiarata inammissibile, precisando dinnanzi agli Ermellini che il consenso alla divulgazione della propria immagine è stato successivamente revocato, con recesso dal contratto stipulato (che non prevedeva termine di scadenza) e diffidando la società austriaca e la convenuta a non utilizzarne in alcun modo l'immagine.
I giudici della Suprema Corte, rammentano che la divulgazione dell'immagine senza il consenso dell'interessato (ex art. 10 c.c. e arttt. 96 e 97 della L. n. 633/1941) è lecita soltanto se e in quanto risponda alle esigenze di pubblica informazione e non anche, come nel caso di specie, ove sia rivolta a fini pubblicitari.
La tematica è stata trattata anche dalla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, la quale ha osservato che la nozione di "vita privata" (menzionata dall'art. 8 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo) è una nozione ampia, non soggetta a definizione esaustiva e può pertanto includere numerosi aspetti dell'identità di un individuo.
Tale nozione ricomprende, dunque, tutte le informazioni personali che un individuo può legittimamente aspettarsi non vengano pubblicate senza il suo consenso.
La pubblicazione di una o più foto, siccome invade la vita privata della persona, anche se trattasi di soggetto pubblico, non può essere effettuata senza il consenso della persona medesima.
Il consenso alla pubblicazione resta revocabile, quale che sia il termine eventualmente indicato per la pubblicazione consentita, e a prescindere dalla pattuizione del compenso, che non costituisce elemento del negozio autorizzativo in questione, stante la natura di diritto inalienabile e quindi non suscettibile di valutazione in termini economici.
Il Tribunale ha sbagliato a ritenere lecita la divulgazione delle immagini dell'attrice, perché la stessa ha revocato il consenso alla diffusione della propria immagine: il contatto autorizzativo in questione è dunque da ritenersi del tutto privo di effetti stante la rilevata prevalenza che, rispetto al vincolo contrattuale, assume la revoca del negozio unilaterale di concessione del diritto all'utilizzo dell'immagine altrui.
Inoltre, nessuna prova è stata offerta alla società resistente circa l'essere cessionaria dei diritti di utilizzazione di immagine o di altro titolo per avallarsene.
La sentenza torna al giudice competente che disporrà anche del quantum del risarcimento e delle spese.
Cass., I sez. civ., sent. 1748/2016