I giudici, in particolare, hanno affermato che non è legittimo gravare colui che ha posto in essere una condotta comunque riconducibile alla legittima difesa anche dell'onere di dimostrare che la propria condotta non è stata eccessiva.
Ciò, più in particolare, in ragione del principio di vicinanza della prova e laddove non è detto che
tale soggetto, nel difendersi, abbia potuto avere una completa cognizione delle conseguenze della propria reazione, mentre l'aggressore, con certezza, conosceva ogni conseguenza della difesa dell'aggredito.
Peraltro, per i giudici, se il soggetto aggredito dimostra l'esistenza dell'illecita aggressione, dimostra con ciò anche di aver a sua volta posto in essere una condotta che può essere ricondotta all'articolo 52 del codice penale.
Nel caso di specie, in particolare, la legittima difesa era stata esercitata durante una brutta lite tra fratelli: provato da parte di uno di essi, avvalendosi del giudicato penale, il fatto che l'altro aveva commesso un reato nei suoi confronti, ciò, in ragione della natura di tale reato, è da ritenersi per la Corte del tutto congruo a costringere la vittima a una reazione difensiva.
E dato che nell'allegazione della legittima difesa è inclusa l'allegazione di una totale legittimità della condotta difensiva, ciò basta per scriminare l'aggredito.
È controparte, a questo punto, a dover semmai provare che la difesa è stata eccessiva.
Il ricorso del fratello aggredito contro la sentenza della Corte di appello che lo aveva condannato a risarcire l'aggressore va quindi accolto.
Corte di cassazione testo sentenza numero 1665/2016