Prof. Marino Maglietta - Capovolge la Suprema Corte (sentenza n. 1747 del 29 gennaio 2016, qui sotto allegata) gli esiti di primo e secondo grado di una vertenza con la quale una signora, intende vedersi attribuita in proprietà, anziché solo in uso, una porzione di immobile, trasferito al marito da una cooperativa.
Il verbale di separazione dei due, antecedente all'acquisizione della proprietà dell'immobile da parte del marito, prevedeva in effetti che, maturato tale evento, questo fosse "suddiviso tra i due coniugi e la figlia", quale liquidazione una tantum degli obblighi verso la moglie.
In sede di merito tale clausola era stata interpretata osservando anzitutto che "una cosa è la suddivisione di un bene, che può avvenire ai più svariati fini, tutt'altra cosa il trasferimento del diritto dominicale di una porzione dello stesso".
Pertanto, non avendo mai proposto la signora un'azione costitutiva ai sensi dell'art. 2932 c.c. implicitamente aveva ammesso non trattarsi di assegnazione in proprietà.
Diverso il parere della Cassazione, che anzitutto invoca l'obbligo di indagare la volontà delle parti ai fini stabilire la natura di un contratto, nonché di tenere conto del complesso delle condizioni stabilite, evitando di limitarsi al significato letterale delle parole e di isolare una frase dal contesto (artt. 1362 e 1363 c.c.).
Nella fattispecie una pluralità di elementi deponevano a favore dell'attribuzione in proprietà: l'impegno delle parti a non locare e/o vendere a terzi il piano rispettivamente assegnato; l'impegno a eliminare alcuni manufatti in modo da rendere autonoma la porzione assegnata alla signora; i rilevanti interventi strutturali necessari a separare le utenze domestiche; la previsione che le spese di manutenzione ordinaria e straordinaria nonché "gli oneri fiscali, tributi, tasse rifiuti, ICI ed ogni eventuale imposta" si sarebbero dovuti distribuire "tra i tre diversi condomini".
Infine, per quanto attiene all'argomento principale utilizzato in appello, l'accordo tra i coniugi avrebbe dovuto essere considerato come un vero e proprio "negozio traslativo semplicemente ad effetti differiti", per cui "l'azione costitutiva ex art. 2932 c.c. sarebbe stata improponibile nel caso concreto - non vertendosi - in un'ipotesi di impegno a cedere, bensì di una fattispecie di cessione definitiva".
Accolto, quindi, il ricorso la Suprema Corte rinvia alla Corte d'appello di Cagliari in diversa composizione per una nuova decisione, rimettendo ad essa anche la liquidazione delle spese.
Cassazione, sentenza n. 1747/2016