di Marina Crisafi - L'accordo successivo al giudizio tra avvocato e cliente non integra il patto di quota lite per cui non può essere dichiarato nullo. Lo ha affermato la Cassazione, con la sentenza n. 2169/2016 depositata ieri (qui sotto allegata), bocciando il ricorso di un cliente contro il proprio avvocato.
Il giudice d'appello di Roma aveva già rigettato l'opposizione al decreto ingiuntivo avente ad oggetto il pagamento delle prestazioni professionali ritenendo che l'accordo sui compensi professionali prodotti in giudizio dall'avvocato, fosse intervenuto "successivamente alla conclusione del giudizio civile e del procedimento amministrativo per cui era stata prestata assistenza legale".
La motivazione è stata condivisa dagli Ermellini che ribadiscono che la Corte romana non ha omesso la pronunzia in ordine all'eccezione di nullità della scrittura privata esibita dall'avvocato (che a detta del cliente sostanziava un patto di quota lite), motivando adeguatamente la decisione sul rilievo che il documento esibito, "contenente un accordo sul pagamento delle prestazioni professionali già eseguite, non aveva le caratteristiche del patto di quota lite in quanto era stato stipulato alla conclusione di tutta l'attività difensiva svolta".
Vane sono le decisioni di legittimità riportate dal ricorrente a sostegno della propria tesi, in quanto secondo la S.C. sono tutte relative ad accordi intervenuti tra le parti "prima dello svolgimento dell'attività difensiva e quindi effettivamente in violazione dell'articolo 2233 c.c. in quanto collegavano preventivamente il contenuto patrimoniale e la disciplina del rapporto d'opera intellettuale alla partecipazione del professionista ad interessi economici finali della lite ed esterni alla prestazione professionale".
Nel caso di specie, invece, la scrittura privata depositata dall'avvocato dimostrava che l'accordo col cliente sui compensi era intervenuto a conclusione dei giudizi seguiti dallo stesso, per cui l'intesa non poteva avere le caratteristiche del patto di quota lite e la controversia poteva essere decisa sulla base dell'accordo stesso.
Né ha giovato al ricorrente lamentare che il giudice d'appello avesse deciso la controversia con il legale sulla base dell'atto di ricognizione del debito prodotto dallo stesso, senza che questi avesse formulato alcuna emendatio della domanda.
Anche tale motivo è infondato per il Palazzaccio, giacché l'avvocato opposto, introducendo, fin dalla comparsa di costituzione l'accordo intervenuto con il cliente sull'ammontare dei compensi a fondamento della sua pretesa "ha solo precisato la domanda, prima limitata alla parcella e al relativo parere di congruità espresso dal Consiglio dell'Ordine, e poi estesa all'accordo". Non è mutata quindi né la causa petendi costituita dal rapporto professionale in essere né il petitum trattandosi di somme sostanzialmente coincidenti.
Per cui al cliente non rimane che pagare l'avvocato e le spese processuali.
Cassazione, sentenza n. 2169/2016