di Annalisa Sassaro - La corte di Cassazione (sez. Lavoro) con sentenza n. 17436 del 02/09/2015 ha ribadito un orientamento ormai consolidato in tema di licenziamento per giustificato motivo. Nel caso di specie, si è sottoposta alla Suprema Corte la pronunzia della Corte d'Appello di Milano che dichiarava l'illegittimità dell'esonero del lavoratore dal servizio per scarso rendimento dovuto all'elevato numero di assenze. La S.C. rigetta il ricorso principale confermando la decisione della Corte d'Appello.
La Suprema Corte dichiara che, in caso di reiterate assenze del prestatore di lavoro, il datore non può licenziarlo invocando il giustificato motivo ex art. 3 legge 604/66 apportando come motivazione del licenziamento lo scarso rendimento determinato dalle assenze del prestatore di lavoro. La Corte infatti ben individua il discrimen tra le fattispecie, indebitamente assunte ad unità, decretandone l'inconciliabilità.
Il licenziamento può essere previsto una volta che il cosiddetto periodo di comporto -periodo massimo di malattia fissato dal contratto nazionale o, in mancanza, ex aequo- si sia esaurito. Il licenziamento per scarso rendimento - ben lungi da essere oggetto di abusato utilizzo giurisprudenziale - rappresenta un quid totalmente diverso. Lo scarso rendimento ai fini del licenziamento è da ricollegare solo ed esclusivamente ad imperizia, incapacità e negligenza escludendo in toto ogni collegamento di esso con le assenze dovute a malattia.
Ad adiuvandum, la Corte rileva un ulteriore elemento discretivo; in caso di scarso rendimento è presente un comportamento colpevole del prestatore di lavoro mentre, in caso di malattia, la patologia è considerata alla stregua di forza maggiore, elemento quindi che esula totalmente dalla volontà del lavoratore.
In conclusione si afferma che, in caso di ripetute assenze del dipendente per malattia, il datore di lavoro non può licenziarlo per giustificato motivo ex art 3 legge 604/66, ma può solo esercitare il recesso una volta esaurito il periodo di comporto.