di Lucia Izzo - La coltivazione di due sole piante di canapa indiana (cannabis) non è reato: il fatto non sussiste poiché privo della necessaria offensività.
È questa la svolta giurisprudenziale in tema di coltivazione di stupefacenti che ha proposto la sesta sezione penale della Cassazione nella sentenza n. 5254/2016 (qui sotto allegata).
La produzione "a uso domestico" di sole due piantine non è in concreto una condotta offensiva essendo caratterizzata da una tale levità da essere sostanzialmente irrilevante l'aumento di disponibilità di droga e non prospettatile alcuna ulteriore diffusione della sostanza.
Il caso
La vicenda prende il via dal ricorso proposto da una coppia condannata per "Produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti" ai sensi dell'art.73, d.p.r. 309/1990, per aver coltivato nella propria abitazione, in un armadio trasformato in serra, duepiante di canapa indiana e per aver detenuto in un essiccatore 20 foglie della medesima pianta.
La Corte d'appello aveva ritenuto irrilevante la destinazione della sostanza ad uso personale o meno, considerando sempre punibile la condotta di coltivazione e giudicando la condotta della coppia offensiva sul presupposto che il materiale ritenuto raggiungesse la cd. "soglia drogante".
Secondo la difesa, invece, la condotta che non avrebbe alcuna attitudine alla lesione del bene giuridico poiché, tra l'altro, nel caso concreto, è indubbia la destinazione al mero uso personale. Per questo si avanza l'ipotesi di una pronuncia di incostituzionalità, in considerazione dell'introdotta disciplina della particolare tenuità del fatto, della norma che punisce sempre e comunque la coltivazione.
Per la Cassazione, tuttavia, il ricorso è fondato.
Offensività in concreto
Secondo gli Ermellini, ciò che si pone nel caso di specie è un problema di "offensività" in concreto della condotta: i giudici operano un sunto delle principali tappe giurisprudenziali in materia di stupefacenti, e valutano la superabilità del rigido orientamento espresso dalle Sezioni Unite secondo cui "la coltivazione di piante destinate alla produzione di stupefacente è una condotta sempre punibile in quanto esclusa, dal D.P.R. n. 309 del 1990, artt. 75 e 73, dall'ambito della detenzione finalizzata all'uso personale, sanzionata solo in via amministrativa".
In effetti, la Corte stessa ha dovuto scontrarsi con il caso, non infrequente, in cui, pur realizzata la condotta tipica, il carattere ridotto della coltivazione non consente di ritenere raggiunta la soglia di offesa in concreto del bene tutelato (Cass. sent. 25674/2011).
Anche la Corte Costituzionale è intervenuta sul tema dell'offensività in concreto: in una decisione (sentenza 139/2014) relativa all'omesso versamento di contributi previdenziali, giudicava eccessiva la sanzione penale per "soli" 24 euro omessi, ritenendo che "resta precipuo dovere del giudice di merito di apprezzare - alla stregua del generale canone interpretativo offerto dal principio di necessaria offensività della condotta concreta - se essa, avuto riguardo alla ratio della norma incriminatrice, sia, in concreto, palesemente priva di qualsiasi idoneità lesiva dei beni giuridici tutelati".
I giudici chiariscono anche che non vi è alcun rapporto tra la situazione esaminata e la disciplina della particolare tenuità introdotta dall'art. 131 bis c.p., applicabile in presenza di un reato perfezionato in tutti i suoi elementi, compresa, quindi, l'offensività.
Il presupposto della norma, pertanto, è che l'offesa al bene vi sia effettivamente stata ma che questa sia, nel caso concreto, di minima consistenza e, quindi, "irrilevante", ergo non ha alcuna applicabilità nel caso in cui l'offesa manchi del tutto.
Coltivazione e detenzione
Per i giudici bisogna, inoltre, distinguere il reato di coltivazione da quello di mera detenzione dello stupefacente: la "coltivazione" non può essere direttamente ricollegata all'uso personale ed è punita di per sé in ragione del carattere di aumento della disponibilità e della possibilità di ulteriore diffusione, mentre la detenzione è strettamente collegata alla successiva destinazione della sostanza ed è qualificata da tale destinazione; pertanto è punibile solo quando è destinata all'uso di terzi mentre, se destinata all'uso personale, ha la sanzione (amministrativa) corrispondente a tale ultima condotta.
Quindi, "l'azione tipica della coltivazione si individua senza alcun riguardo all'accertamento della destinazione della sostanza bastando che sia realizzato il pericolo presunto quale sopra specificato", tuttavia deve essere "applicata la regola di necessaria sussistenza della 'offensività in concreto', ovvero, pur realizzata l'azione tipica, dovrà escludersi la punibilità di quelle condotte che siano in concreto inoffensive".
Nel caso in questione ricorre la assenza di offensività della condotta, talmente lieve da essere sostanzialmente irrilevante l'aumento di disponibilità di droga e non prospettabile alcuna ulteriore diffusione della sostanza.
Risulta quindi corretto affermare che "l'avere coltivato due piantine, senza alcuna ragione di ritenere che i ricorrenti avessero altre piante non individuate e, quindi, essendo certo che quanto individuato esauriva la loro disponibilità senza alcuna prospettiva di utile distribuzione in favore di terzi consumatori, non è in concreto una condotta offensiva per le ragioni anzidette".
Non essendo necessari ulteriori apprezzamenti di fatto, la Corte accoglie il ricorso assolvendo gli imputati in quanto il fatto non sussiste (non è stato realizzato il fatto con le sue caratteristiche di aggressività del bene giuridico) e pronunciando annullamento senza rinvio.
Cass., VI sez. pen., sent. 5254/2016