di Marina Crisafi - Anche se il datore di lavoro è in ritardo con il pagamento degli stipendi meglio non farsi giustizia da sé. Lo sa bene la cassiera di un bar che non ricevendo da mesi la propria retribuzione ha pensato bene di fare la "cresta" dalla cassa, beccandosi una condanna a 6 mesi di reclusione per il reato di appropriazione indebita, confermata anche in Cassazione (sentenza n. 6035/2016, qui sotto allegata).
Per gli Ermellini, infatti, se è vero che non può parlarsi di furto, come ipotizzato dal giudice di prime cure, ha ragione la Corte d'appello a riqualificare la condotta grave della lavoratrice come appropriazione indebita aggravata.
A nulla valgono le doglianze della difesa sulla mancanza del requisito dell'ingiusto profitto, posto che la lavoratrice si era appropriata di somme che la proprietaria del bar le doveva a titolo di retribuzioni. Ciò avrebbe dovuto, a detta della difesa, condurre a riconoscere lo stato di necessità che avrebbe spinto la cassiera a prelevare il denaro.
Per la seconda sezione penale però ogni obiezione è inutile.
Oltre al fatto che il richiamo all'omesso pagamento delle retribuzioni da parte del datore di lavoro è generico, in ogni caso il prelievo illegittimo di denaro ai danni della proprietaria del bar, per soddisfare una propria asserita pretesa, va comunque censurato come appropriazione indebita di denaro. Né può invocarsi lo "stato di necessità", in quanto tale giustificazione non si applica sottolineano i giudici, "a reati provocati da uno stato di indigenza connesso alla situazione socio-economica" della persona, ai quali, sia possibile porre rimedio con comportamenti "non criminalmente rilevanti".
Per di più, la particolare fiducia che la datrice di lavoro aveva riposto nei confronti della lavoratrice rende ancora più grave il prelievo illegittimo.
Cassazione, sentenza n. 6035/2016