Proprio su tale disposizione è recentemente intervenuta la seconda sezione civile della Corte di cassazione, che, con la pronuncia numero 2954 depositata il 16 febbraio 2016 (qui sotto allegata), ha chiarito che se tra l'avvocato e il cliente sorge una controversia inerente il compenso per le prestazioni professionali, il cliente-debitore può essere ritenuto in mora solo dopo che sia stato liquidato il debito, ovverosia a partire dalla data in cui viene emessa l'ordinanza con la quale si conclude il procedimento, di sollecita definizione, promosso ai sensi dell'articolo 28 della legge numero 794 del 13 giugno 1942.
Ciò vuol dire che gli interessi di mora, in tale ipotesi, decorrono solo da tale data, peraltro entro i limiti di quanto liquidato dal giudice.
Nel caso di specie, tra avvocato e cliente (un Comune) era sorta una controversia inerente il quantum. Di conseguenza, per la Corte di cassazione, gli interessi, così come il maggior danno da svalutazione monetaria preteso dal professionista, devono considerarsi soggetti alle regole comuni previste dall'articolo 1224 del codice civile, dato che la mora debendi deve ritenersi verificata solo dopo che il credito sia divenuto liquido ed esigibile.
Il ricorso del Comune avverso la sentenza articolata del giudice di appello sulla controversia insorta con il proprio legale va quindi accolto, sebbene limitatamente a tale motivo e non agli altri sei proposti.