di Lucia Izzo - Non è possibile per i coeredi riscattare il trasferimento della quota dell'immobile ricevuto iure ereditatis se l'operazione, effettuata da uno di essi nei confronti di un terzo, sia avvenuta a titolo di datio in solutum.
Il contratto stipulato tra coerede e terzo estraneo alla comunione, nonostante la violazione del diritto di prelazione, rimane valido ed efficace, sopravvivendo all'esercizio del diritto di riscatto, tuttavia, il "riscattante" si sostituisce all'altro contraente nella posizione contrattuale.
Lo ha disposto il Tribunale di Roma nella sentenza 14246/2015, che ha statuito sulla domanda di alcuni coeredi che avevano ereditato un appartamento insieme alla convenuta: in seguito, costei aveva poi ceduto la sua quota a un terzo estraneo, senza rispettare la disposizione di cui all'art. 732 c.c. che prevede il diritto di prelazione degli altri coeredi.
Ciononostante, il giudice capitolino ritiene che la domanda di riscatto della quota dell'appartamento ceduto non sia da accogliere.
L'acquirente della quota, costituitosi in giudizio, ha precisato che non era intervenuto nei confronti della coerede alcun contratto di vendita, ma solo una cessione a titolo di datio in solutum per estinguere un debito, circostanza che pertanto impedisce l'operare del diritto di prelazione.
Il Tribunale ha accolto tale ricostruzione avanzata dalla controparte, evidenziando che "la realizzazione di una cessione a titolo di datio in solutum esclude l'operatività dell'art. 732 c.c., il quale, facendo espresso riferimento al prezzo dell'alienazione, comprende nel suo ambito applicativo il solo contratto di compravendita e non già ogni negozio a titolo oneroso".
Il giudice ha altresì precisato che la datio in solutum attua l'intento del debitore di estinguere un proprio debito eseguendo una prestazione diversa rispetto a quella originariamente prevista, risultato che non può essere ottenuto se la posizione dell'acquirente viene assunta da un soggetto diverso.
Ciò significa che non è possibile per il coerede sostituirsi all'estraneo beneficiario di una dazione in pagamento "non rivestendo il primo quella qualità del secondo che è presupposto essenziale del negozio solutiorio" e che dà luogo a un'ipotesi di surrogazione personale.