di Valeria Zeppilli - Se la clausola con la quale si prevede il rinnovo tacito di un contratto in assenza di disdetta non viene specificamente approvata, essa non può che reputarsi nulla in quanto vessatoria.
A tal fine, non importa che essa non sia a carico solo del contraente che non l'abbia predisposta ma manifesti i suoi effetti su entrambe le parti del rapporto: tale circostanza, infatti, non è di per sé idonea ad emancipare la validità della clausola dalla necessaria e specifica approvazione scritta prevista dall'articolo 1341 del codice civile.
Ad averlo chiarito è la sentenza numero 4047/2016, depositata dalla Corte di Cassazione il primo marzo (qui sotto allegata): chi propone l'adesione, infatti, valuta preventivamente i vantaggi e gli svantaggi che possono derivargli dall'accettazione della clausola e, quindi, si pone in una posizione che non può essere di certo paragonata a quella del contraente per adesione.
Proprio sulla base di tali argomentazioni, nel caso di specie è stato accolto il primo motivo a sostegno del ricorso presentato da un noto artista italiano, che aveva citato in giudizio numerose case discografiche accusandole di aver utilizzato indebitamente i diritti di riproduzione e stampa delle sue opere cantautoriali.
Per l'artista, infatti, contrariamente a quanto fatto, il giudice del merito avrebbe dovuto far discendere la nullità della clausola dalla sua natura vessatoria, anche a prescindere da ogni esame circa l'effettiva sussistenza, in concreto, di svantaggi per l'aderente.
In relazione a tale motivo la sentenza impugnata va quindi cassata e la parola, anche per le spese, passa alla Corte di appello di Roma.